Recensione: Virtual Symmetry
Tornano con un nuovo lavoro a due anni dall’ottimo Exoverse gli italo-svizzeri Virtual Symmetry, attesi al varco, quantomeno da chi scrive, dopo una prima parte di carriera di sicuro promettente. Nati come progetto solista del chitarrista Valerio Æsir Villa, nel 2009 iniziano a prendere forma le prime idee per l’album di debutto, Message From Eternity, autoprodotto poi nel 2016. La formazione cresce con l’ingresso del cantante Marco Pastorino, del tastierista Marco “Mark” Bravi, del bassista Alessandro Poppale e del batterista Alfonso Mocerino. Con questo disco la band riesce finalmente ad accasarsi in una label, la Sensory Records, affidando gli ambiti produttivi a Simone Mularoni (DGM, Michael Romeo, Turilli Lione Rhapsody) presso il Domination Studio, ormai una consolidata garanzia.
In un genere, il progressive metal, nel quale ormai da diversi anni una prospettiva di valutazione del valore di una band sta nella sua capacità di muoversi in territori non derivativi rispetto al seminale teatro dei sogni newyorkese, i Virtual Symmetry hanno sempre cercato declinare con personalità tale eco lontana, comunque imprescindibile, arricchendola di contaminazioni diversificate ed ambientazioni cinematiche, in una sintesi che si conferma credibile e coerente.
Questo lavoro omonimo si apre con la band che dispiega sin dalla prima traccia (anch’essa omonima) tutte le sue armi, alimentando una suite di 20 minuti. Una scelta che, alla fine dell’intero ascolto, soppesate le diverse economie sonore, si rivelerà corretta. Pur peccando venialmente in alcuni temi di una certa prolissità, questa “Virtual Symmetry” può rappresentare un manifesto della band e perfetto compendio delle sue attitudini compositive, tecniche ed emozionali. Si alternano riff serrati, crescendo ricchi di pathos e digressioni strumentali, in un equilibrio sottile fra i vari elementi di contrasto che la rendono epica e trascinante, ma anche avvolgente e profonda. Un brano che dà il tempo ad ogni componente della band di prendere la scena: a Valerio Æsir Villa il compito di trasformarsi nei Petrucci/Romeo più ispirati, passando da ritmiche granitiche a melodie celestiali, il tutto arricchito da un costante buon gusto nei soli.
Dopo cotanta grazia, la successiva e comunque ottima “My Story Unfolds” calma un po’ gli entusiasmi, proponendo un prog più contemporaneo, con un riffing articolato che va a districarsi nel convincente ritornello. “The Paradise of Lies” è un pezzo che splende di luce propria, che non risparmia tecnica ispirata e coesa senza mai smarrire il filo della forza espressiva di una melodia. Preserva le stesse dinamiche ed atmosfere la seguente “Come Alive”, la più orecchiabile e “power-oriented” del platter, per poi lasciare spazio a “Butterfly Effect“, una ballad potente ed evocativa, con Pastorino assoluto protagonista della tenzone tra la luce e l’oscurità che la animano.
A questo punto dell’ascolto dell’album rinviene un senso di deja-vu emozionale che ripropone alcune considerazioni su questo e i precedenti lavori della band: i Virtual Symmetry, nella loro ricerca del personale equilibrio tra tecnica e melodia, pur inerpicandosi con maestria e padronanza nei tessuti più annodati del loro songwriting, risultano a volte in questi frangenti piuttosto didascalici e convenzionali. È quando il livello emotivo del brano cresce, quando le note trasudano enfasi emotiva, che la band impressiona e risplende. Detto diversamente: i Virtual Symmetry sanno certamente come nutrire il cervello dell’ascoltatore, ma come pochi sanno accarezzarne l’anima.
“Fantasie Di Verità” è un tipico brano di prog melodico, contrassegnato dalla cesellatura di Mark Bravi dietro le tastiere e dalla magistrale interpretazione vocale, coronata dal cangiante ritornello in italiano. L’ingresso di “Rising” si staglia fiero sulle atmosfere sommesse precedenti e consegna una traccia ricca di cambi di dinamiche e colori, dove riff taglienti e divagazioni strumentali si alternano ad aperture melodiche. Il lavoro si chiude con “Insomnia”, una struggente ballad al pianoforte sapientemente orchestrata che sa regalare suggestioni e che solennemente accomiata la band.
Con questo disco omonimo i Virtual Symmetry non solo confermano quanto di buono fatto in precedenza, ma si spingono anche oltre, confezionando un album stratificato, tanto mastodontico quanto intimo, tanto epico quanto etereo, dove intricati labirinti sfociano presto in auspicati spazi aperti. Resta strozzato in gola l’urlo al capolavoro ma, con queste premesse, potrebbe essere solo una questione di tempo.