Recensione: Visions of Eden
Quando scorrono le note di Age Of Consent, Marriage o Noble Savage nel mio impianto stereo, la mia mente ripercorre gli anni passati a cercare questi magici dischi quando ancora non esistevano mailorder, Internet, mp3, ed amenità tecnologiche varie. Allora conoscevo soltanto le “big band”: WASP, Manowar, Iron Maiden, Accept, Saxon, Judas Priest e compagnia bella, il resto era affidato all’immaginazione di ciò che si leggeva sui vecchi giornalini. I Virgin Steele furono la prima band, sicuramente underground, che decisi seriamente di ricercare e che contribuì, ulteriormente, a farmi innamorare di questa musica. Sono passati anni, molte delle band che scoprii agli inizi le ascolto poco oggigiorno, eppure per i Virgin Steele la parola poco non è mai esistita, ogni ascolto di un disco, sebbene consumato all’inverosimile, è una nuova esperienza nelle magiche terre dei sogni e del mito cui questa musica ben si presta a far rivivere.
David DeFeis, sicuramente un compositore dallo spirito unico. Quando lo conobbi personalmente conobbi una persona gentile ed umile, una conferma dello spirito nobile che metteva in musica. Le ultime due fatiche in studio della band americana si sono discostate dalla trilogia chiusa con Invictus (ma già con Invictus certe scelte produttive cominciavano a cambiare). I 2 House of Atreus, più che 2 album di classico Heavy Metal, sono un’opera costruita su una base Heavy Metal articolata e spezzata tra moltissimi momenti strumentali. Un’opera poco omogenea eppure a suo modo affascinante ed evocativa.
Visions of Eden si discosta ancora una volta da queste soluzioni. Nessun intermezzo, nessuna strumentale, 11 brani, molti dei quali lunghissimi, corposi, compatti che rendono questo prodotto durissimo da assimilare. Le chitarre non incidono, sono sottotono, quasi assenti. Sono lontani i ricordi delle magiche cromature chitarristiche di Age Of Consent, i fraseggi epici di Noble Savage e delle scintillanti progressioni dei due Marriage non c’è traccia. Eppure è un disco che riesce ad affascinare. La opener Immortal I Stand, il suo pomposo incedere, la magniloquenza di una costruzione strumentale impeccabile, i lirismi di DeFeis intenti ad esplodere negli spettacolari ritornelli (Immorrtal I stand!). Ed ancora, attimi di classe musicale attraverso la geniale costruzione melodica di Black Light On Light, irruenta, pagana, dal barbarico incedere, eppur struggente, appassionante. Esplode tra i suoi cambi di tempo, le sue aritmetiche progressioni epico/musicali, il suo flavour mitologico. Ma il disco continua. Si va dall’Heavy Metal più classico di Bonedust (splendidi i suoi refrain) al romanticismo passionale della ballad God Above God per approdare ai fasti imperiali alla Invictus dell’ossianica The Hidden God. Ed ancora, attimi di epico heavy Metal rivivono in ChildSlayer mentre in When Dusk Fell è la magica chitarra di Pursino a dipingere interessanti trame musicali. Chiude l’album la title track Visions Of Eden, meditato brano, quasi solenne oserei dire e che va a porre il sigillo finale su quest’ultima fatica di DeFeis e soci.
Inizialmente avevo giudicato male questo prodotto, ma un ascolto più attento e più lungo mi ha permesso di trovare in esso attimi di intensa passione musicale. I difetti ci sono, e sono quelli elencati ad inizio, non da poco, certamente. La produzione non rende assolutamente. Le chitarre sono in secondo, anzi, terzo piano; sotto tono rispetto a tutto il resto, grave, molto grave (ciò abbassa nettamente il voto del disco). Questo impedisce a Visions of Eden di entrare nell’olimpo dell’Heavy Metal music d’intenzione epica ma non gli impedisce di donarci ancora qualche attimo di autentica passione musicale che, in un contesto come quello odierno, è sempre più difficile da trovare. Un po’ poco per i Virgin Steele, ma già tanto di questi tempi.
Vincenzo Ferrara.