Recensione: Vital Alchemy
I Nahaya sono nati nel 2013 in Texas da un’idea di Ryan Peters e Semir Ozerkan (Oceans of Slumber). Dopo essersi fatti conoscere con un paio di EP autoprodotti (‘Trascendence’ e ‘Trascedence Pt. II’) hanno siglato un contratto con la label nostrana Rockshots Records, tramite la quale hanno pubblicato il primo Full-Length ‘Vital Alchemy’, disponibile dal 21 maggio 2021.
Il loro è un Thrash–Death–Metalcore tutto mischiato assieme e con l’aggiunta di un tocco d’atmosfera mediorientale per affinare il tutto.
Un sacco di cose, dunque, peraltro compresse in venticinque minuti per mezzo di sei pezzi anticipati da un intro acustica spagnoleggiante (che non centra nulla con il resto del discorso, ma che ci sta alla grande).
In pratica ‘Vital Alchemy’ è un EP travestito da album, ma questo poco importa. E’ la sostanza che conta, e quella c’è.
Le emozioni sono parecchie: i Nahaya sanno essere feroci, sparando note a raffica con influenze Groove-Thrash, ma anche opprimenti, attraverso partiture complesse, angoscianti e disturbanti prese dal Death e dal Metalcore.
E’ un attacco sonico continuo ed inarrestabile, con la furia del growl e la malinconia del clean che si alternano sinuosamente, creando luci, ombre e sfumature di grigio che s’intersecano nella mente esplodendo ed implodendo. Riff serrati, andature pesantemente Progressive che sembrano senza fine e tanta melodia espressiva costituiscono un insieme dinamico e ad alto tasso energetico.
I pezzi più incisivi sono ‘Deific Mask’ e ‘Kali Yuga’, la title-track è parecchio cervellotica, mentre ‘Incubator’ colpisce per l’inusuale uso della distorsione simil ‘slide’ della chitarra, con una reminiscenza di Southern Rock.
Concludendo, il giudizio è più che positivo: i Nahaya hanno fatto un buon lavoro, con alcuni passaggi personali che, in futuro, è giusto che vengano anche messi in maggiore evidenza. Attendiamo, per ora più che bravi.