Recensione: Vitrun
Il secondo disco degli islandesi Carpe Noctem è uno di quei lavori in cui bisogna immergercisi anima e corpo. Il loro non è un black metal tradizionale e ad onor del vero definirlo semplicemente black metal sarebbe troppo limitativo per una band che sta vivendo una graduale evoluzione, nonostante si tratti appunto soltanto del secondo full-lenght. Vitrun sfiora i sessanta minuti di durata con le 6 tracce che il combo di una delle isole più remote e selvagge al mondo mette insieme al fine di permetterci di cogliere la notte (oppure “vivere la notte”) come essi la intendono, ovvero gelida, malinconica, a tratti violenta e cruda – come nella migliore tradizione black metal scandinava – a tratti al limite di tessiture progressive che alternano epiche avanzate elettriche a interludi acustici che accentuano le sfumature ambient e atmosferiche di un album che richiede più che un paio di ascolti per essere realmente recepito a dovere.
Proprio l’opener Söngurinn Sem ómar Milli Stjarnanna spiazza l’ascoltatore come figlio illegittimo di velocità e una cruda violenza sonora che mette in chiaro che non si tratterà di un viaggio indolore. Ma come riesce a introdurre un discorso fatto di aggressività da branco selvaggio, lascia immediatamente spazio al leitmotiv del disco, fatto di andirivieni oscuri come un cielo notturno senza stelle. La seconda traccia Upplausn, come anche il brano conclusivo Sá Sem Slítur Vængi Flugunnar Hefur Náð Hugljómun, sono forse quelli che meglio riescono a definire il sound attuale dei Carpe Noctem. Sono canzoni che si prendono tutto il tempo necessario per intraprendere un’arrampicata nel nostro subconscio, mettendo in risalto la grande carica espressiva del singer Alexander Dan Vilhjálmsson e la voglia di sperimentare dell’intera band, sostenuta peraltro da un drumming molto ispirato e che mette in luce Helgi Rafn Hróðmarsson per tecnica e per la capacità di non ripetersi, ma di aggiungere un tocco personale che contribuisce a rendere il sound della band davvero unico. Le restanti canzoni mantengono la medesima impronta, ma per assimilarle a dovere e percepirne ogni singola sfumatura è consigliabile un ascolto accurato, mentre la penultima traccia, Úr Beinum Og Brjóski, dimostra come l’ingrediente ambient ricopra un ruolo piuttosto rilevante e che verrà senza dubbio sviluppato con la prossima release.
I Carpe Noctem hanno lasciato passare 5 lunghi anni per dare un seguito al disco d’esordio del 2013 In Terra Profugus, ma con Vitrun tra le mani, l’attesa ha dato i suoi frutti, coniando un sound che nonostante non sappia (e non voglia) snaturare il sangue che scorre nelle vene della band, riesce a caratterizzarsi per originalità e una forte carica emotiva. Non è un album semplice, ma come tutte le cose buone va assaporato con calma e con la voglia di lasciarsi trasportare in questa notte buia e malinconica. Che questo sia un punto di forza non v’è dubbio, ma alla stessa maniera potrebbe far storcere il naso a chi è alla ricerca di emozioni più selvagge e violente. Di quelle ce n’è una parte, ma sono principalmente messe al servizio di un disegno emotivo più grande di quanto ci si aspetti approcciandosi ad un lavoro che non si può definire underground, ma ancor meno adatto a tutti. Se cercate qualcosa di inusuale, non indugiate e Cogliete La Notte!
Brani chiave: Upplausn / Sá Sem Slítur Vængi Flugunnar Hefur Náð Hugljómun