Recensione: Vittjar
Difficilissimo introdurre una band come i Kaipa, soprattutto perché due miei illustri predecessori ne hanno magistralmente descritto la storia nelle recensioni per “Keyholder” e “In the wake of evolution”. Una band la cui storia è divisa in due fasi distinte, la prima negli anni ’70 improntata al prog rock classico e analoga, per il ruolo all’interno della scena svedese, a quella delle nostre PFM o Le Orme.
Poi una frattura interna, una pausa da 15 e più anni prima del ritorno con gli ottimi “Notes” e “Keyholder”, album che risentivano dell’esperienza di Roine Stolt con i suoi Flower Kings, eppure ne alleggerivano il sound, trasportandolo in nuove dimensiooni fantastiche, oniriche, folkeggianti, uniche insomma.
Poi l’abbandono del capitano che tuttavia non ebbe a spostare di molto la rotta presa dai Kaipa. Eccoci dunque a questo nuovo “Vittjar,” un disco che prosegue linearmente il discorso fatto dai suoi predecessori e ci propone ancora una volta una originalissima mistura di Folk e Progressive, un po’ come se gli Otyg (o forsanche i Blackmore’s Night) incontrassero i Flower Kings di The sum of no evil. Otteniamo dunque melodie estremamentente semplici e medievaleggianti, supportate da tutti gli strumenti del caso quali violino e flauto, che prendono a formare trame decisamente più complesse. Oltre a questo va detto che oramai l’intesa tra i due vocalist Aleena Gibson e Patrick Lundström ha raggiunto livelli di intreccio davvero notevoli. La prima infatti incarna l’anima folk, con strofe cadenzate e cantilenanti, l’altro si lascia andare a linee più progressive, preservando a livello vocale la duplicità sonora espressa nella musica.
Vengono fuori dunque canzoni davvero affascinanti come “Lightblue and gree” o “Treasure House”, leggere ed incantate malgrado il minutaggio esteso. Viene fuori la filastrocca fiabesca “A universe of tinyness”, con un ottimo giro di violino (incredibile no?). Ma soprattutto viene fuori la titletrack, decisamente atipica con la sua brevità ed il cantato-filastrocca in madrelingua, ma proprio per questo decisamente irresistibile, una specie di mix, ancora una volta, tra “One more time” (TFK) e “Viljevandring” (Otyg). Sempre con l’ansia di scoprire se Lundin abbia copiato Hedlund o viceversa. Ad ogni modo, ottimo e naturale l’inserimento degli strumenti tradizionali tra tastiere sontuose ed avvolgenti o tra chitarre melliflue e duttili.
Dall’altro lato però le sonorità folkeggianti, almeno secondo l’opinione di chi scrive, impediscono la composizione di una suite progressive di respiro davvero ampio come vorrebbe essere “Our Silent Ballroom Band”, la quale risulta forse lunga e dispersiva, sicuramente ricca di buoni spunti, ma pure di momenti morti. Nel complesso tuttavia “Vittjar” è comunque un disco omogeneo e dalle tinte unitarie, che non presenta gli sbalzi d’umore delle ultime prove della band. Sembra, ancora una volta che gli svedesi abbiano trovato la loro dimensione in questo nuovo corso e che l’abbandono di Stolt sia acqua definitivamente passata. In ogni caso, dati i nomi coinvolti, sarà sempre impossibile escludere eventuali cambi di rotta nelle prossime uscite.
Per fortuna.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco
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Line Up:
Hans Lundin – Keyboards & vocal
Patrik Lundström – Lead & backing vocal
Aleena Gibson – Lead & backing vocal
Jonas Reingold – Bass
Morgan Ågren – Drums
Per Nilsson – Guitar
Tracklist:
01 First Distraction
02 Lightblue And Green
03 Our Silent Ballroom Band
04 Vittjar
05 Treasure-House
06 A Universe Of Tinyness
07 The Crowned Hillside
08 Second Distraction