Recensione: Vlad the Impaler
Tra storia e leggenda, due manifestazioni di un unico protagonista. Signore della Valacchia a più riprese tra il 1448 e il 1476, Vlad III Dracula è noto anche come Vlad l’impalatore (Țepeș in rumeno), a causa della sua predilezione per una forma particolare di esecuzione capitale, che consisteva nell’infilare un palo nel corpo della vittima, supplizio a quanto sembra dalle fonti coeve inflitto a numerosi nemici: il cronista turco Ibn Kemal descrive lo spettacolo agghiacciante che si presentò nel giugno del 1462 agli occhi dell’invasore Maometto II, che si trovò di fronte ad una foresta di pali sui quali erano confitti i suoi uomini di un vicino avamposto. Proprio grazie alla sua brillante politica militare contro gli Ottomani, Vlad III è venerato come eroe popolare in Romania, così come in altre parti d’Europa. Immagine completamente ribaltata in ambito germanico e turco, dove nella vulgata ne uscirono accentuati i caratteri più violenti e autoritari. Un’immagine parossistica che attraversa i secoli fino al capolavoro di Bram Stoker, Dracula, romanzo gotico ispirato dalla figura di Vlad l’Impalatore che nel 1897 segnerà l’inizio della più grande leggenda di vampirismo della storia.
La duplicità del personaggio si riflette in quest’opera di Trond Holter, chitarrista e compositore norvegese che assieme a Jørn Lande ha realizzato, sempre per Frontiers Records, uno dei migliori dischi dell’anno 2015 (indubbiamente il mio preferito di quell’anno), un vero e proprio capolavoro sulla figura del signore della Transilvania: “Dracula: Swing of Death”. Un album che vantava un’interpretazione (al solito) sopra le righe del vichingo norvegese al microfono supportato dalla bella foce femminile di Lena Fløitmoen, ma anche un songwriting estremamente vario e per certi versi unico, ispirato e sorprendente in molti passaggi dal primo all’ultimo brano, capace di passare da momenti furiosi di hard rock al flamenco, dall’epico all’autoironico, dall’opera ai ritornelli ariosi stile Avantasia, dal pop allo swing, dall’heavy al neoclassico degli assoli del mattatore Trond Holter, mastermind ed ideatore del progetto. Consapevoli dell’ottimo lavoro realizzato, i nostri hanno affrontato alcune date in Norvegia, ovviamente a teatro, ovviamente in costume, come da buona tradizione operistica.
Con “Vlad the Impaler”, tre anni dopo Holter ci mostra l’other side of the moon, il figlio spirituale nato con alcune idee maturate dai tempi del capostipite. Nuova lineup con due avvicendamenti al microfono: Nils K. Rue dei Pagan’s Mind assume il ruolo di Dracula ed Eva Iselin Erichsen quello di Mina Harker, sua sposa non morta. La buona notizia è che la vena compositiva di Holter non è assolutamente esaurita, con i suoi solos neoclassici supportati con raffinatezza dalle tastiere di Erling Henanger, capaci di dipingere panorami epici e torreggianti come nell’arrembante titletrack, la strumentale “Vlad the Impaler”, o nel solo di “Awakened”. Lo stesso dicasi per i ritornelli, sempre molto azzeccati e diretti, che si stampano in testa dopo un paio di ascolti.
Manca Jørn. Inutile negarlo. Manca la sua simpatia, la sua autoironia, la sua potenza vocale. Nils K. Rue non è certo l’ultimo arrivato, e si vede protagonista di una buona prestazione complessiva, soprattutto nelle parti più ruvide ed arroganti ma non lascia il segno. Discorso opposto per Eva Iselin Erichsen, che si ritaglia un ruolo di primadonna colmando in maniera decisiva un vuoto che si sarebbe altrimenti fatto pesante: se nell’opener “Worlds on Fire” il suo è solo un supporto nel ritornello, la frontwoman mostra tutte le sfumature vocali dall’epica “The Last Generation” alla ballatona “Shadows of Love”, fino alla più aggressiva e rockettara “Under My Skin”. Niente swing e flamenco, ma anche qui l’interdisciplinarità non manca, con uno stile camaleontico che si fa dall’oscuro al romantico, dall’hard rock all’heavy al progressive, passando per il power, tra Savatage ed Avantasia con un barocco malmsteeniano alla chitarra.
Il disco è disseminato di citazioni e rimandi anche melodici al predecessore, ma certo la più inequivocabile è l’intera track finale: “Save Me, pt. II” è infatti una variazione sul tema di uno tra i brani più identitari del primo Dracula, che esplode in un climax tra amore, fede e salvezza dell’anima dei protagonisti.
“Vlad the Impaler” è nel complesso un buon disco, che tuttavia soffre il pesante fardello di un predecessore per molti versi inarrivabile. Tra mito e realtà, tra leggenda e storia, credo che la soluzione all’atroce dilemma (sempre meno atroce che finire impalati, eh!) sia non lasciarsi sfuggire entrambi i lavori ed affrontarne la complementarità, cogliendone i rimandi e le analogie ma anche le profonde differenze, in questo progetto veramente degno di nota, che meriterebbe ben più visibilità. Solo allora si mostrerà la verità: il geniale talento compositivo di Trond Holter ed il mistero di uno tra i personaggi più ambigui di sempre, la cui eredità ha lasciato un segno indelebile nel mondo dell’arte, dalla letteratura al cinema alla musica.
Luca “Montsteen” Montini