Recensione: Voice of Reason
Giungono al traguardo del quinto studio album gli svedesi Cloudscape, dopo una carriera ventennale (dal 1992 al 2001 noti come Doctor Weird), e scelgono i primi giorni del nuovo anno per proporre un disco, Voice of reason, che ammicca a certe sonorità del self-titled (2004) e a Crimson Skies (2006), ma non splende per bellezza d’artwork: questa volta Mattias Norén (Andromeda, Ayreon, Epica, Evergrey, Kamelot) non ha colto nel segno.
L’opener attacca con cadenze dal buon groove che ricordano i Threshold, poi gli ostinati di chitarra alzano il tiro, il bridge è melodico, così il refrain. Non manca una strizzata d’occhio, o meglio, d’orecchio, a certo djent di moda; a metà il brano presenta un buon break, seguito da un assolo della 6-corde con sottofondo semiacustico. “Futuristic Psycho”, pezzo più corto in scaletta, ripropone il sound degli svedesi, un riuscito ibrido tra thrash, prog. e heavy. Bending possenti, nelle strofe, si alternano alle schiarite melodiche del ritornello. La sezione solistica si rifà ai Symphony X e Malmsteen.
Motivetto di tastiere fatata all’inizio di “Don’t Close Your Eyes”, i Cloudscape basano i propri brani su semplici melodie, ma arricchite da un guitarwork massiccio e linee vocali trascinanti: anche questo è il caso, il refrain è catchy e la voce poliedrica e baritonale di Andersson resta impressa nella mente. Brano diretto il seguente “All for Metal”, che potrebbe essere tratto da un album dei connazionali Sabaton. Tra i momenti migliori del platter la coda del brano dagli echi priestiani. La titletrack, suite da undici minuti, presenta nei primi secondi i leitmotive dei primi brani in scaletta a mo’ di “Dance of eternity”. La composizione si snoda attraverso atmosfere e ritmi disparati, ma il tributo verso Devin Townsend è evidente. Da segnalare i due minuti in pianissimo tra settimo e ottavo minuto, omaggio a “The count of Tuscany” dei numi tutelari newyorkesi?
Degli ultimi tre brani, i primi due sono diretti, ma non stagliano in tracklist: “Thunders of Extreme” ha una buona parte solistica; “Needle in the eye” inizia con un intro a effetto, e si rivela un pezzo quasi power metal, con tanta doppia cassa e un’ultima parte thresholdiana. Chiude le danze la seconda breve suite, dal titolo ossimorico “In silence we scream”: primi tre minuti da ballad vera e propria, poi inizia un lungo crescendo che nei momenti finali richiama addirittura certa vena epica dei Masterplan o dei Blind Guardian anni Novanta.
Insomma, un album discreto, tutto è ben confezionato, lo stile dei Cloudscape continua coerente e tetragono a venti di cambiamento. Aspettando i sorprendenti Dream Theater e i norvegesi Circus Maximus e Pagan’s Mind, Voice of Reason è un buon palliativo per iniziare l’anno bisesto.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)