Recensione: Voices from Within
Da Israele tornano a farsi sentire i Distorted, dopo l’interessante esordio “Memorial”, con questo loro secondo album intitolato “Voices from Within”. La band ci aveva piacevolmente sorpreso con il suo mix di death tecnico-melodico unito alla voce femminile, tanto che da più parti si era subito cominciato a paragonarli ai conterranei Orphaned Land. Paragone forse un po’ azzardato che, con questo secondo disco, rischia di mostrare un po’ la corda, soprattutto in virtù di una innegabile evoluzione del sound dei Distorted.
Rispetto a quanto si aspettavano coloro che già li reputavano una sorta di figli putativi degli autori di “Mabool”, infatti, i musicisti di Bat-Yam si son orientati verso sonorità leggermente più gothic. Se da una parte una song come “Letting Go” suona forse un po’ troppo ruffiana, orientata come è al gothic più commerciale, il resto dell’album rimane sugli standard stabiliti dal precedente e pregevole “Memorial”.
Gli elementi che avevano fatto dell’esordio dei Distorted una delle sorprese più piacevoli del 2006, tornano in buona parte in questo nuovo cd: i riff di chitarra che si rifanno alla scuola death melodica svedese (“Reveal My Path”), le ritmiche mai scontate quasi prossime al prog (il finale di “Consistent Duality”), la voce della brava Miri in solitaria e in duetto con quella del chitarrista Raffy. Ad impreziosire maggiormente questa nuova uscita troviamo anche qualche guest come ospite d’eccezione, parliamo di gente come Lisa Johansson dei Draconian, Sven De Caluwè degli Aborted e Thomas Vikstrom ex componente di Candlemass e Therion.
Rispetto al precedente “Memorial”, però, è anche cambiato qualcosa, soprattutto come “atteggiamento”. Mentre nell’esordio sprazzi di melodie mediorientali tipiche della loro terra erano disseminate qui e là per tutto l’album, in questa occasione fanno capolino in una sola traccia, cioè “Escaping the Mind-Grid”. Unito a questo vi è anche un modo di cantare della singer più canonico e che non lascia trapelare quasi nulla della provenienza geografica del gruppo. Questo sembrerebbe sottintendere l’intenzione del gruppo a non voler puntare troppo su questi elementi etnici per caratterizzare la propria musica, ma di ricorrervi solo saltuariamente per variare un po’ di più le proprie composizioni.
In realtà ci pare che questa scelta abbia impoverito e anche standardizzato molto la proposta dei Distorted facendogli perdere una parte delle proprie attrattive. La bravura, le capacità, le idee e la tecnica ci sono, questi sono elementi innegabili, ma questa volta son stati messi al servizio di un disco maggiormente mainstream che risulta quindi anche inferiore rispetto al loro esordio discografico.
Il secondo album degli israeliani Distorted perde alcuni degli elementi più etnici che avevano contraddistinto l’ottimo esordio “Memorial”. Questo, unito alle loro capacità, potrebbe portarli ad aprirsi maggiormente al mercato internazionale, ma gli ha fatto perdere diversi punti in originalità. La qualità è sicuramente sopra alla media, ma ci saremmo aspettati qualcosa di più.
Tracklist:
01 One Last Breath
02 What Remains
03 Voices from Within
04 Fading
05 A Soft Whisper
06 Reveal My Path
07 Escaping the Mind-grid
08 Obscure
09 Theom
10 Consistent Duality
11 Letting Go
12 As You Lay
Alex “Engash-Krul” Calvi