Recensione: Vol. 5 – Lost At Home
Come da titolo, quinto album in carriera per i More Than A Thousand, vecchie volpi del metalcore internazionale. Che, pur essendo originari del Portogallo, vivono infatti a Londra, registrano negli USA e in Svezia, cantano in inglese e suonano nell’universale linguaggio della musica.
Una storia che li pone ai vertici del genere, il metalcore melodico, in virtù di un’esperienza di vita per l’appunto a 360°, di una professionalità senza macchia e, ultimo ma non ultimo, di un talento artistico che rende “Vol. 5 – Lost At Home” un lavoro da collocarsi costruttivamente sui piani più alti dell’ambiente metal. Metal senz’altro melodico, come appena scritto, ma spesso duro e massiccio, poco edulcorato anzi violento in certi momenti. È chiaro che l’indole e il background di Vasco Ramos e i suoi compagni siano fondati su un approccio musicale volto a cercare con insistenza refrain, pizzi e merletti dal sicuro impatto sui fan; ma è altrettanto evidente che le loro mazzate energetiche fiondate fra capo e collo a volte fanno male davvero.
Esempio ne è “Fight Your Demons”, parecchio rappresentativa dello stile della band. Stile in perenne bilico sul contrasto fra ritornelli ‘acchiappa-tutti’ e segmenti ritmici brutali. Del resto questo è proprio uno degli elementi distintivi del metalcore moderno, per cui alla fine l’ensemble iberico non fa che prendere atto delle attuali tendenze in materia; anche se è cosa buona e giusta evidenziare che ciò viene elaborato in maniera egregia. Una dimostrazione ipotetica di classe e capacità sia tecnica sia compositiva, seppure appaia ben chiara una volontà atta a privilegiare la canzone in sé invece che la ricerca di nuove soluzioni, nuove interpretazioni.
Una filosofia conservativa, insomma, che mette al riparo da flop e brutte figure, ma che inesorabilmente tende ad appiattire un po’ il tutto; facendo rischiare agli originari di Setúbal di passare come una delle tantissime formazioni metalcore che intasano il mercato con i loro lavori, spesso sfortunatamente troppo simili fra di essi per avere una seppur minima possibilità di sfondare.
La menzionata attenzione sulle song, e sull’intento di renderle accattivanti a tutti i costi, peraltro, è un altro punto a svantaggio dei Nostri. Lo sviluppo delle composizioni è incentrato su uno schema piuttosto semplice, atto a privilegiare i chorus con l’intento di renderli facilmente memorizzabili e inseribili ‘nelle corde’ degli appassionati attuali del genere. Il risultato, però, non pare rendere merito ai buoni propositi, giacché riesce – al contrario – abbastanza difficile trovare delle differenze sostanziali fra un brano e l’altro. Il disco scorre con fluidità e ottima musicalità, prendendo per mano l’ascoltatore con mestiere ed efficacia. Tuttavia, più lo si passa nel lettore più emerge un’omogeneità che tende ad appiattirlo oltremodo.
Un peccato, poiché la bravura dei More Than A Thousand è un dato di fatto che non si può negare, che si rinviene con facilità in ogni solco del platter. Come non si può negare l’indubbia potenzialità che scorre nelle vene delle loro mani, manifesta in occasione di “Swallow Your Poison”, pezzo dalla dirompente rotondità, sicura hit in sede live ma non solo. Oppure in “No Mercy For The Weak”, clamorosa bombardata sui denti sconfinante nel più cruento deathcore. Due esempi di quello che si sarebbe potuto combinare senza pensare a fattori diversi dal mero aspetto musicale ma che, purtroppo, non è stato messo in campo.
Peggio per loro, alla fine dei conti.
Daniele “dani66” D’Adamo
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