Recensione: Volume one
Forse i più svezzati di voi conosceranno Jeff Duncan come il chitarrista che ebbe il non difficile compito di sostituire lo scomparso David Prichard nella line up degli Armored Saint del controverso “Symbol of salvation”, un chitarrista niente male dotato di un buon tocco e di un senso melodico ottimale, che negli anni passati ha più volte messo al servizio la sua abilità sulla sei corde prima negli Odin e poi nei Lost Boys,cercando di raggiungere quel livello di notorietà che solo dopo essere entrato nei santi californiani, ha pienamente ottenuto.
Adesso grazie all’apporto della coraggiosissima Rising Sun, il buon Jeff si ripresenta con questo nuovo progetto musicale facendosi accompagnare dai suoi due fratelli Matt e Shawn rispettivamente basso e batteria, e dal cugino Hyland Church, tanto per restare in ambito familiare. I DC4 si rendono artefici di una particolare miscela sonora che, allontanandosi prepotentemente da quanto proposto dal nostro con la sua band madre, cerca di far confluire in un unico corpo sonoro influenze derivanti da un certo rock americano d’autore, Jhon Cougar Mellecamp tanto per intenderci, filtrandole attraverso sonorità hard rock senventies style che cercano di recuperare le proprie radici musicali nel suono di band come Led Zeppelin e Jimi Handrix Experience.
Un wall of sound veramente impressionante, reso ancora più impenetrante dall’ottima produzione a cura dell’esperto Joey Vera (Armored Saint, Fates Warning) che di sicuro rappresenta la sicurezza che la band andava cercando sin dai tempi dell’ep d’esordio “Mood Swing”. Un’hard rock energico, compatto,suonato con una verve che rimanda direttamente ai bei tempi che furono, ecco cosa emerge dall’ascolto di “Volume one”, un album che vive di luce propria fra dosi massicce di adrenalina allo stato puro e scariche elettriche che vi elettrizzeranno sin dal primo ascolto, anche se in più occasioni lo spettro del post metal e del tanto odiato grunge, sono sempre dietro l’angolo.
Ma se, come sono sicuro, riuscirete a superare certe piccole velleità, beh sono certo che vi troverete di fronte ad un album sobrio suonato con energia e classe,contornato da arrangiamenti semplici ma efficaci che non vanno per questo a ledere l’impatto delle singole tracce, che si divincolano fra echi di Saigon Kick, Warrior Soul, Galactic Cowboys e qualche reminiscenza beatlesiana come nel caso della stupenda “Naive bree”. Il nostro amico Jeff, se la cava discretamente anche dietro al microfono, e con la sua particolare voce molto rauca e spigolosa, diciamo alla Eddy Vedder, riesce ad innalzare ancor di più il potenziale esplosivo di un album a dir poco dinamico che in brani quali la dirompente “Pound of flesh” o la poetica “Marienne” tocca dei picchi di maturità compositiva davvero sorprendenti. Sicuramente la band dei fratelli Duncan non riuscirà di certo a scrollarsi si dosso lo status di cult band, che di certo non gli siaddice, ma che ha avuto se non altro il merito di forgiare un album che recupera in pieno i pregi e i valori oramai dimenticati di scrivere brani che,nel bene e nel male, risultano distanti anni luci dal manierismo imperante attorno al music biz odierno. Che dire di più, se avete bisogno di una boccata d’ossigeno puro, cosa state aspettando?