Recensione: Vox Vult
Se andassimo a cercare il significato di musicista in un vocabolario della lingua italiana, troveremo come definizione: “compositore di musica o, per estensione, chi esegue musica”. La musica, di per sé, è una delle principali forme d’arte. Un musicista è dunque un artista? Leggendo la precedente definizione verrebbe da dire “sì, lo è” ma, secondo la personale visione del sottoscritto, non sempre è così. Un musicista, per esser definito artista, deve esser in grado di trasmettere emozioni, sensazioni, deve esser in grado di comporre musica senza rinchiudersi in schemi prestabiliti. Deve evitare di cadere nel tranello di limitare la propria creatività nel tentativo di perseguire fini tutt’altro che nobili. Deve riuscire ad esprimere tutto sé stesso, riuscire a trasporre in musica tutto il proprio mondo interiore, tutti i colori che lo compongono. Chi non persegue questo fine, pur essendo musicista, non può esser definito artista.
Questa riflessione è stata la prima reazione che Vox Vult – debutto sulla lunga distanza per i comaschi Simus – mi ha procurato. Sì, perché la band di Como è una vera e propria entità artistica, quanto sopra scritto viene perfettamente trasposto in musica nel loro debut album. Difficile catalogarne la proposta (ma è poi un male?), ci si muove su coordinate che passano per il prog – più Tool oriented che Dream Theater – rock, un certo alternative di chiara derivazione americana, elementi nu metal ed un pizzico di pop. Non per niente il quintetto di Como cita tra le proprie influenze band come Tool, Mastodon, Meshuggah, System Of A Down e Mudvayne. Certo, non sono i primi a muoversi in questi orizzonti ma a noi non interessa che siano o meno capostipiti di un movimento, interessa invece come portino avanti la propria proposta. Ed i Simus mettono in evidenza una personalità che ai giorni nostri è difficilmente riscontrabile in una band al debutto. Il tutto, sommato ad un approccio filosofico che, oltre in musica, trova rappresentazione in un impatto visivo, che si può facilmente riscontrare nell’artwork del disco e nel videoclip di The Soulmaker.
Vox Vult ci regala una band dotata di invidiabili capacità tecniche, che esteriorizza il proprio io artistico riuscendo a catturare l’ascoltatore ascolto dopo ascolto, lasciandoci scoprire, di volta in volta, un particolare non notato in precedenza. Il disco presenta una produzione curata e moderna che risulta calda e avvolgente, caratteristica che spesso manca a certe produzioni contemporanee. Ogni strumento è messo in evidenza e può fare bella mostra di sé. Non una mera esibizione di tecnica ma bensì un elegante lavoro che viene valorizzato da una struttura canzone ineccepibile. Vox Vult si apre con l’intro ritualistico Giano – antica divinità romano/italica raffigurata anche nella copertina del disco – che riporta alla mente alcune atmosfere respirate in Eyes Wide Shut. Tocca poi alla title track basata su di una struttura ripetitivo/ossessiva che punta ad ipnotizzare l’ascoltatore. Purtroppo, secondo chi scrive queste righe, il risultato viene raggiunto in parte e la traccia si rivela un po’ fredda e staccata risultando la meno riuscita del disco. Di tutt’altro effetto la successiva Planet Caiak, traccia nota dal 2012, che mette in mostra l’universo Simus. Dopo un inizio dalle tinte modern metal, la canzone si evolve in un oscura trama in cui si possono assaporare molte delle influenze sopracitate. Su tutto si staglia la splendida voce di Mimmo D’elia che, grazie alla sua interpretazione, riesce a rendere melodica e di facile assimilazione un canzone tutt’altro che semplice. Proprio D’elia risulta essere uno dei punti di forza della band. Stupenda timbrica e grande capacità interpretativa. Si può tranquillamente dire che riesca a recitare alla perfezione in ogni canzone, calandosi nella parte in ogni frangente. Mostra un ottima versatilità riuscendo ad esser, all’occorrenza, pulito e melodico o più sporco ed aggressivo. Ma il disco non è solo Planet Caiak, a partire da Who Am I?, breve interludio che funge da intro per la già citata The Soulmaker, il disco regala alcuni capitoli che definire riusciti è dire poco. Canzoni dotate di potenzialità tali da poter proiettare la band ad una caratura europea. The Soulmaker ne è il perfetto biglietto da visita: tecnica, melodia, aggressività, visione introspettiva. Tutto è condensato in una traccia che colpisce e coinvolge dal primo ascolto. Stupenda la semiballad Bitter Taste in cui spiccano le magniloquenti melodie delle due chitarre di Luca Pace e Michele Perri e la splendida prestazione di D’elia. Altra canzone di assoluto livello è Fakir, un caleidoscopio di emozioni e soluzioni il cui risultato è far entrare la canzone in testa per non farla più uscire. Ma è tutta la seconda parte del disco a brillare di una luce intensissima, così non possiamo non citare Deus Vult, altro caleidoscopio in musica con passaggi Tool oriented, un ritornello che è estasi pura ed elementi che vanno dal dark prog a passaggi più modern metal. Il disco si chiude con la più cupa ed introspettiva Requiem For My Moon e la splendida The Golden Pendulum Of Babylon, altra canzone da annoverare tra le perle di questo Vox Vult. A fine canzone, bella la trovata di utilizzare un effetto traccia nascosta che funge da outro del disco. Discorso a parte merita invece Mantis, pezzo cantato in italiano che all’inizio passa quasi inosservato ma, dopo ripetuti ascolti, riesce a farsi notare pur non raggiungendo i livelli che il disco mostra da Who Am I? in poi.
Con questo debutto i Simus diventano di diritto una delle realtà più interessanti uscite dalla nostra penisola. Un disco che non può che esser apprezzato da chi ama la musica a tutto tondo, priva di paletti, di restrizioni. Qualcosa da limare c’è, la pronuncia un po’ italofona di D’elia, l’aver inserito due canzoni qualitativamente inferiori rispetto allo standard del disco, dettagli facilmente superabili ma che incideranno abbassando leggermente quel numerino che trovate in basso a destra. La band dimostra d’avere le idee chiare e – considerando che Vox Vult esce a quattro anni di distanza dal precedente Ep Human Prison – di non aver fretta, di non voler bruciare le tappe. Non rimane che augurarvi buon ascolto anche se, forse, con la musica dei Simus è più corretto augurarvi buon viaggio…
Marco Donè