Recensione: Vyscera

Di Fabio Vellata - 6 Aprile 2014 - 0:10
Vyscera
Band: Rosàrio
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2014
Nazione:
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71

Profonde radici statunitensi a dispetto di una provenienza decisamente tricolore, sono le fondamenta dell’esordio concepito dai Rosàrio, band padovana che con “Vyscera” agguanta il grande traguardo del primo album in carriera.

Che i Rosàrio abbiano buone qualità, lo dimostra il fulmineo interesse maturato nei loro confronti ad un solo anno dalla fondazione ufficiale avvenuta nel 2013: un contratto con una seppur piccola indie label ed una distribuzione nazionale curata dalla tentacolare Audioglobe, sono un biglietto da visita più che sufficiente nel dare ad intendere il buon spessore di una proposta che si presenta come lontana da una possibile fruizione di massa per quanto contornata da evidenti meriti artistici.

Lo scenario in cui il quartetto veneto si muove è quello dello stoner rock più cupo e diretto, figlio di un concetto musicale che mutua la propria filosofia da alcune grandi ispirazioni storiche, rimandandone a memoria dettami e codici con qualche oncia di elaborazione personale: una costante, in terra nostrana, divenuta ormai consuetudine di una scena fiorente.
Oscuri e psichedelici, nell’arco di pochi minuti per sole sette tracce, i Rosàrio mostrano di aver assimilato compiutamente le lezioni dei grandi (immancabili quando si parla di questo modus stilistico) Kyuss ed Unida, conferendo tuttavia al proprio sound un che di maggiormente “malato”, sofferto ed ermetico.
La chitarra down tuned di Nicola Pinotti macina visioni che, per una volta, non sembrano provenire da una torrida pietraia, ammantando i brani di atmosfere spesso striscianti e fangose, opprimenti ed al limite dell’oscurità. Nessuna autostrada riarsa dal sole, ne canyon spaccati da temperature roventi insomma: l’aria qui è umida, pesante e limacciosa.
Viscidi e scivolosi, i pezzi affondano la propria essenza in una dimensione dal taglio istintivo e piuttosto spontaneo nella forma. L’iniziale “Dome” declina sin dall’immediato un suono quasi “live” che, nella stessa impostazione del missaggio, non cerca artifici particolari, lasciando al “fuzz” delle chitarre il compito di descrivere la dimensione vivida di una proposta che va in cerca più dell’impatto fisico – “viscerale” per l’appunto – che di qualsiasi divagazione cerebrale. Le vocals di Alessandro Magro poi, non troppo dissimili dall’intonazione di Layne Staley, contribuiscono nel riservare un che di ulteriormente “allucinato” alle composizioni poste in essere.

Il target prefissato sembra in buona parte raggiunto. “Vyscera”, in effetti, è un assaggio di potente stoner, destrutturato, diretto e genuino, cui manca solo un pizzico d’inventiva maggiore nelle melodie per apparire performante ai massimi livelli.
Virile e corposo, in alcuni frangenti il songwriting della band veneta risulta un pelo statico e monocorde, perdendo in quel dinamismo che è patrimonio essenziale per un genere come quello abbracciato.
Un peccato veniale. O “di gioventù”, se vogliamo.

“We, Haunted”, “Caravan Kid” e “Callistemon” sono, ad ogni modo, pezzi interessanti e discretamente concepiti, germogli di uno spessore artistico del tutto dignitoso che ha, nella prospettiva, un sicuro potenziale di riuscita.

Un nuovo nome da aggiungere alla sempre più frequente scoperta di giovani speranze italiane in ambiti stoner rock.

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