Recensione: W.A.S.P.
Demonizzati dalla terribile censura americana negli anni ’80, permettendosi di pubblicare un album dal titolo “F*ck Like A Beast” e circondandosi di acronimi (a partire dal nome) dai chiari riferimenti sessuali, gli W.A.S.P. fanno da sempre dell’eccessività la loro carta di credito. Una sorta di Alice Cooper degli anni ’80, insomma, tanto teatrali dal vivo quanto diretti da disco. La formula è chiara e consolidata: essere il più scandalosi e offensivi possibile, secondo uno spiritio ultra-glam che Blackie Lowless, leader della band, si porta appresso dagli anni ’70, quando suonava nei New York Dolls.
Probabilmente Blackie era già pronto al debut, ma la nazistoide Tipper Gore e il suo manipolo di censori oscurarono le sue “malefatte” per parecchio tempo, cosicché la stessa Europa fu colpita dal fulmine W.A.S.P. in tempi decisamente maturi.
Niente nei W.A.S.P. è del tutto originale. Già abbiamo fatto menzione della loro immagine, e lo stesso discorso può farsi per gli aspetti musicali: ascoltando questo debut è impossibile non carpire immediatamente le influenze di Lawless e compagni. Primi su tutti i Kiss, ovviamente, per quanto riguarda il songwriting. Le vocals di Blackie sembrano un connubio tra un di Dee Snyder (Twisted Sister) in versione più stridula e Kevin DuBrow (Quiet Riot).
I riff di chitarra rispettano gli standard ottantiani, con la sezione ritmica a stendere un solido tappeto per una musica che fa dell’impatto e del coinvolgimento la sua arma vincente.
In realtà il reale valore di quest’album è nascosto nei dettagli: la musica raramente devia dalle forme precostituite, ma è difficile trovare una band che riesca a imprimere un’attitudine così appassionata, dannatamente blues, ai suoi pezzi, unica maniera per renderli davvero memorabili.
L’album si apre con una hit sensazionale, cavallo di battaglia nelle esibizioni live, come “I Wanna Be Somebody”, un vero e proprio inno dall’andatura rovente in cui Lawless ruggisce contro l’oppressione e medita vendetta. Gli elementi per farne un classico metallico ci sono tutti: stile diretto, con un grande break che dal vivo diventa un vero e proprio sing along col pubblico. Certo, sono cliché, ma se non state troppo a pensarci, vi ritroverete a suonare una chitarra inesistente scapocciando qua e là e puntando in aria indice, pollice e mignolo cantando a squarciagola…
Lo stile dei Kiss domina nella successiva “L.O.V.E. Machine”, pezzo sex-rock dal semplice intro in power-chord che da vita ad un’ariosa sezione in cui Lawless canta su una base ritmica basso-batteria per sfondare nel grandioso glam del ritornello.
“School Daze” potrebbe quasi essere considerata un tributo alla “School Out” di Alice Cooper: stesso tema, l’odio dei ragazzi per la scuola…
Non manca la power ballad, ma “Sleeping (In The Fire)”, con i suoi riferimenti satanici non fa la parte della melensa canzone d’amore. Visto che l’imperativo è quello di shockare, il pezzo parla di un amore irreligioso, ricordando un po’ la “Sleeping In The Night” dei Krokus.
“Tormentor” e “The Torture Never Stops”, dal chiaro argomento sadomaso, risultano più Maiden oriented, grazie al riffing galoppante e ad una linea di basso palpitante.
Non posso far altro che consigliare quest’album a tutti i fan dell’hard rock e del metal, dal momento che esso incarna alla perfezione lo spirito degli eighties. Mi ripeto: saranno pure cliché, ma se non state troppo a pensarci, vi ritroverete a suonare una chitarra inesistente scapocciando qua e là e puntando in aria indice, pollice e mignolo cantando a squarciagola…
Tracklist:
1. I Wanna Be Somebody
2. L.O.V.E. Machine
3. The Flame
4. B.A.D.
5. School Daze
6. Hellion
7. Sleeping (In The Fire)
8. On Your Knees
9. Tormentor
10. The Torture Never Stops