Recensione: Waiting for Good Luck
Con il quinto full-length “Waiting for good luck” la band inglese The Treatment, fondata nel 2008 nella città universitaria di Cambridge, mostra i muscoli, dando libero sfogo a tutta l’energia e la potenza di cui dispone.
La formazione che ha lavorato all’album vede Tom Rampton alla voce (alla seconda uscita discografica con i The Treatment), Tagore Grey alla chitarra, Tao Grey alla chitarra e al basso, e Dhani Manswoorth alla batteria, alla quale si è unito, successivamente al termine delle registrazioni, il bassista Andy Milburn. L’album, pur non proponendo assolutamente nulla di nuovo, offre un set di brani dalla presa immediata che, in netto contrasto con la sonnacchiosa immagine di copertina, risulta ben vivace e godibile.
La prima traccia, “Rat Race”, alternando all’energia di un riff alla Angus Young e soci un chorus alla Def Leppard, riesce, nella spudorata ruffianeria glam che lo contraddistingue, non solo a catturare l’attenzione, ma anche a suscitare una immediata nostalgia di capello cotonato.
“Take It Or Leave”, con brevi ed efficaci fraseggi di chitarra alla Ted Nugent, mantiene l’ascoltatore caldo per la successiva, spensierata e fresca, “Lightining in a Bottle” nella quale sono riproposte le sonorità della band di Sheffield.
“Vampress” scorre come un treno in corsa, riportando in alto la tensione e lasciando impresso in testa un altro chorus indelebile.
Per permettere un parziale recupero di energie, i The Treatment sparano due brani, l’uno di seguito all’altro, con spiccate influenze blues, intitolati “Eyes on You” e “No Way Home”, sostitutivi, nell’economia dell’album, della immancabile ballad che, come da copione, a questo punto, ci sarebbe stata tutta.
“Devil in The Detail” è un campionario di citazioni hard rock anni 80. Un brano sfaccettato che il gruppo ha il polso di mantenere coerente ed equilibrato. Riff alla Ratt, prechorus alla Scorpions, refrain in stile Mötley Crüe, che riporta alla memoria le atmosfere di “Danger” dell’album “Shout of The devil”, senza, tuttavia, avere la lucida disperazione che caratterizza il pezzo della band losangelina.
Un ipnotico giro di basso introduce “Tough Kid” nel quale l’energia rock torna a scatenarsi. “Hold Fire”, introdotta da un riff che sembra la versione velocizzata di quello di “Woman from Tokio” dei Deep Purple, strizza l’occhio ai Led Zeppelin, in una girandola di reminescenze classiche.
“Barman” è una traccia blues al 100% che diverte con gustose tonalità rétro. “Let’s Make Money”, abbastanza scontata, ma dal lineare, quanto azzeccato, assolo e “Wrong Way”, altro ben composito mosaico ottantiano, chiudono l’album che, in coerente continuità con la passata produzione del gruppo risulta nel complesso sanguigno, movimentato e divertente.
Il trattamento proposto dalla band con “Waiting for good luck”, sperimentato con grande spirito di abnegazione dal sottoscritto in Vostra vece, fedeli lettori, pur non avendo alcun effetto immunizzante contro il Covid, risulta in grado di portare indubbi benefici al tono dell’umore.
Pertanto, consiglio fortemente la sua regolare assunzione!