Recensione: Wake Up The Wicked
Con la puntualità di un plenilunio, ecco tornare i licantropi di Saarbrücken. Nascondete le pecore, chiudete in casa i bambini e preparate i proiettili d’argento. I Powerwolf sono di nuovo tra noi per presentare il nuovo album In studio.
Torna a farsi viva così la formazione teutonica, che ha senza dubbio il merito di aver portato una ventata di aria fresca nella scena metal. Infatti, pur trattandosi di una band power tedesca si sono da subito distinti dalla miriade di compagini simil-Helloween con cantante tipo sirena che intona coretti da birreria sostenuti da doppia cassa. O perlomeno i Powerwolf ne offrono una versione più personale. Al suono già consolidato della scena europea, i nostri, aggiungono delle atmosfere più cupe e tenebrose ed un ugola, quella di Attila Dorn, dalla timbrica baritonale. Pochi accorgimenti che bastano a farli distinguere dalla massa, tanto che, nel corso degli anni, i Powerwolf si sono ritagliati un posto di riguardo nella scena metal mondiale.
Sotto la guida del produttore Joost Van Den Broek eccoli con il nuovo capitolo dal titolo Wake Up The Wicked con cui consolidano il discorso fatto fino ad ora.
Si comincia bene con Bless ‘Em With The Blade, un brano veloce e diretto che, in due minuti e cinquanta, dà letteralmente la “benedizione” all’ascoltare con delle vere e proprie rasoiate metalliche.
Sinners Of The Seven Seas si assesta su un tempo medio con toni gloriosi e melodie orecchiabili. Kyrie Klitorem sfodera delle strofe avvincenti che si accompagnano ad un ritornello dal gusto sinfonico. Sono presenti poi i tipici passaggi cantati in latino, da sempre presenti le composizioni della band. Su Heretic Hunters invece emergono delle melodie folk che danno un sapore arcaico al brano. I Powerwolf paiono voler puntare su composizioni non troppo lunghe e dirette che ruotano attorno a passaggi gloriosi, parti sinfoniche mai in eccesso e quella epicità mista a certi canti liturgici su cui i Powerwolf hanno modellato il loro stile personale. 1589 è un pezzo evocativo in cui si narra di eventi storici avvenuti nel XVI secolo. Wake Up The Wicked è invece, una traccia veloce dal piglio più ruvido rispetto alla media, senza però tralasciare la giusta dose di melodia.
Se doveste avere un incontro ravvicinato con degli alieni che non hanno mai sentito i Powerwolf, o più semplicemente, se avete un amico che non conosce la band, Viva Vulgata fà proprio al caso vostro. La traccia può rappresentare un biglietto da visita ideale, racchiudendo tutti gli elementi caratteristici dei lupi tedeschi. Melodie epiche, riff rocciosi, pomposità sinfonica e parti in latino, tutto ben miscelate in appena tre minuti. Joan Of Arc presenta le solite tonalità gloriose ed eroiche che sfociano in un ritornello che probabilmente farà sfracelli durante i live della band.
Thunderpriest è una mazzata fulminante con una ritmica che sfiora i confini dello speed/thrash. In We Don’t Wanna Be No Saints i Powerwolf vanno ad esplorare i sentieri dell’hard rock arricchendoli con i loro elementi caratteristici. Il mid tempo dal retrogusto malinconico di Vargamor è il brano designato per la chiusura del disco, con il quale, Attila Dorn ed i suoi lupi, si congedano dall’ascoltatore.
I Powerwolf ci mettono sul piatto un altro lavoro che saprà soddisfare i loro estimatori. Non provano a cambiare nemmeno questa volta la radice della proposta: e in fondo, perché mai dovrebbero, visto che si tratta proprio della ricetta inventata da loro stessi.
Squadra che vince non si cambia. L’importante è aver, anche per questa volta, raggiunto l’obiettivo.
E su questo non sembrano esserci dubbi.
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