Recensione: Waking The Jester
Il profumo dei dollari canadesi ci riconsegna una band che ha riscosso il suo discreto successo verso la fine degli anni settanta e poi scomparsa dal music business dopo quattro full length (Victim Of A Song – 1979, Love Crimes – 1980, One False Move – 1982, Harlequin – 1985) e il greatest hits del 1986.
Gli Harlequin, fondati nel 1975 da Ralph James (basso), Gary Golden (tastiere e chitarre), David Budzak (batteria) e da George Belanger (voce), sono stati scoperti a Toronto, casualmente, trent’anni or sono da Jack Douglas, già al lavoro con Aerosmith, Patti Smith, Cheap Trick e John Lennon. La spinta propulsiva del famoso produttore americano li ha condotti verso un ricco contratto con la CBS/Epic fino al raggiungimento del disco d’oro nel 1979 e del disco di platino nel 1980 prima dell’inversione di tendenza e dello scioglimento definitivo.
A caccia di nuove ispirazioni, George Belanger e i rinnovati Harlequin (dovete sapere che la formazione è cambiata nei tre/quarti) ci riprovano ventuno anni dopo l’ultima collection e l’attitudine sbarazzina, fortunatamente, è la stessa dei tempi antichi.
“Waking The Jester” si inserisce con personalità nel loro contesto discografico ma fatica a distinguersi nel panorama dell’hard rock contemporaneo nonostante l’eleganza della scrittura di George, che non ha perso smalto né spirito per affrontare nuovamente il suo percorso musicale.
Dice il saggio: non è tutto oro quel che luccica, e infatti soltanto il primo terzo del disco è da ritenersi “oro che cola”, il resto è ordinario passatempo.
Shine On, Rise, Hell Or High Water e 40 Days In Your Car hanno tutto per sfondare: ritornelli intuitivi, assoli estrosi, arrangiamenti raffinati e quella trovata ingegnosa che soltanto i fuoriclasse come lo stesso Belanger riescono a tirare fuori al momento opportuno. Gli ingranaggi girano alla perfezione e i nuovi innesti (il chitarrista Derrick Gottfried su tutti) imparano la lezione del “grande vecchio” a memoria, come se lancette scorressero in senso antiorario fino agli early days.
Ce n’è abbastanza per incensare i Canadesi? Purtroppo no, da Black Out The Sun in avanti l’apatia sostituisce l’encomio, il decadimento progressivo, limitato alla sostanza del brano più che alla forma, riesce a stravolgere il fascino che avvolgeva il disco nelle falcate iniziali. Come si suol dire: dalle stelle alle stalle.
Non tutto è perduto perché gli Harlequin rialzano la testa nelle battute finali (You Can’t Go Back e Taste It) riportando in auge la melodia, quella incontaminata, quella “di peso”, e i relativi intrecci strumentali.
Parte del potenziale resta inespresso anche se stiamo pur sempre parlando di una band che ha all’attivo, non a caso, un disco d’oro e uno di platino.
“Waking The Jester” è un lavoro che dimostra di avere tanti pregi ma che registra troppi difetti per potersi garantire un posto di merito nel suo settore, il rischio è il solito: finire quanto prima nel dimenticatoio.
Qualche asso e altrettanti due di picche valgono comunque una chance? Si, anche se la speranza è quella di non dover attendere altri vent’anni per un lp di valore.
Gaetano Loffredo
Tracklist:
01.Shine On
02.Rise
03.Hell Or High Water
04.40 Days In Your Car
05.Black Out The Sun
06.How Long
07.This Limbo
08.Take It Or Leave It
09.Lolita
10.Inbound Train
11.Little White Lies
12.You Can’t Go Back
13.Taste It