Recensione: Walk The Sky
Tra i progetti solisti del chitarrista Mark Tremonti e l’intensa collaborazione del vocalist e chitarrista Miles Kennedy con Slash ed i suoi accoliti, sembrava quasi che gli Alter Bridge fossero passati in secondo piano nelle carriere dei due artisti.
Ben tre anni, infatti, sono passati dall’ultimo lavoro in studio “The Last Hero”, un disco che, peraltro, non ha riscosso gli stessi unanimi consensi dei quattro lavori precedenti.
Dal primo album a “Fortress”, invece, gli Alter Bridge (la cui line-up è completata da Brian Marshall al basso e Scott Phillips alla batteria), si erano affermati come una delle più incisive e rilevanti realtà del metal internazionale, riuscendo magistralmente a contemperare gli spunti dell’heavy più ficcante e contemporaneo e dell’hard rock dalle sfumature melodiche senza dimenticare la lezione del (post) grunge.
E invece, molto atteso, ecco arrivare il sesto studio-album della band statunitense, dal titolo “Walk The Sky”, e le notizie sullo stato di salute della band appaiano ben più che confortanti.
Il nuovo full-length, infatti, presenta ben quattordici tracce, tutte di elevata qualità e senza filler, che non solo ripercorrono le suggestioni artistiche fin qui sfoggiate dalla band, ma propongono vieppiù spunti inediti.
Innanzitutto, va rilevata la presenza di un discreto numero di brani che assecondano la vena più dolce e radio-friendly della band. Già all’inizio, difatti, troviamo una One Life, inaspettatamente (quale album rock non inizia, al giorno d’oggi, con il fuoco e le fiamme di qualche uptempo carico di riff e ritornelli da stadio?) sognante e suadente e cantata da una voce al top.
Anche Godspeed, pur se dotata di un bel tiro, è brano melodico e levigato ed ingemmato da suoni di chitarre ben lontane dal metal, mentre in Indoctrination la melodia è incasellata in un sound cadenzato e teso.
The Bitter End, ancora, è aperta e solare e offre e valorizza al meglio la voce di Miles Kennedy.
I fans del suono più classico degli Alter Bridge troveranno pane per i propri denti, comunque, in Pay No Mind, in Wouldn’t You Rather ( trafitta dalle sei-corde che mitragliano riff e assoli e illuminata dal chorus cantabilissimo – certamente un prossimo cavallo di battaglia dal vivo), in In The Deep (anch’essa annunciata e percorsa da riff che chiamato alla battaglia ma più lenta della precedente), e in Take The Crown (altro potenziale hit dalle chitarre grintose e dalla melodia “acchiappante”).
Un po’ in mezzo al guado tra i due stili precedente, e sempre con brillanti risultati, si collocano Tear Us Apart, semiballad fiera e non priva di spunti popolari, Dying Light, ballata nel più puro stile Alter Bridge e Clear Horizon, canzone impreziosita, all’inizio, da arpeggi cristallini e da un canto caldo e avvolgente per poi tramutarsi in un rock epico e melodico e tempestato da riff assassini.
La canzone che più ha impressionato il vostro recensore è, però, Forever Falling, stracolma di aggressività metal grazie ad un Tremonti sugli scudi il quale, pur in una uragano di suoni energici che scaturiscono dalla sua chitarra, non disdegna sprazzi arpeggiati.
“Walk The Sky”, insomma, rassicura sullo stato di forma, invero eccellente, degli Alter Bridge, capaci di esibire conferme stilistiche e novità, arrangiamenti fantasiosi ed un songwriting di qualità.
Il maggiore ricorso alla melodia potrebbe essere proteso al tentativo di capitalizzare il successo fin qui ottenuto per protendersi al grande salto di popolarità della band. Se così fosse, va detto che la band cerca di ottenere il risultato in piena coerenza artistica col proprio passato e, a nostro avviso, senza svendersi.
Francesco Maraglino