Recensione: Walk the Walk

Di Carlo Passa - 2 Maggio 2021 - 7:30
Walk the Walk
Etichetta: AOR Heaven
Genere: AOR  Hard Rock 
Anno: 2021
Nazione:
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83

Devo dire che io me ne rendevo conto. A cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, poco prima che il grunge travolgesse i lustrini del Sunset Strip, avevo maturato la piena coscienza della qualità che doveva esserci veramente a Los Angeles. Non era banale capirlo, e forse neppure facile ammetterlo, perché la scena hard rock losangelina di quegli anni faceva di tutto per mostrare soltanto il proprio lato più effimero, fatto appunto di lustrini, capelli gonfiatissimi (ah, l’hair metal!) e testi beceri.
Eppure, in tutta quella Babilonia c’erano musicisti geniali, capaci di scrivere opere immortali e di emozionare milioni di ragazzi e ragazze in giro per il mondo. Tanta era la qualità e, perché no, la spocchia, che musicisti che altrove sarebbero forse arrivati al successo, rimasero relegati nelle seconde file, comprimari della stella di turno. Questo è il caso del cantante J. Adler e del polistrumentista Paul Alfery, nomi del tutto ignoti ai più, ma ricchi di curricula dalle collaborazioni impressionanti e trasversali, tra David Lee Roth, Stryper, Dio, Lita Ford, Kingdom Come, Aerosmith, Tony Iommi, Steve Vai e così via. Insomma, gente che di musica, di rock, ne sa tanto, ma proprio tanto. E ora, nel 2021, arriva a metterci tra le mani l’esperienza delle proprie rughe, regalandoci quello che è uno dei migliori dischi che il vostro recensore, in vero mai uscito dal 1991, abbia ascoltato quest’anno.
Pubblicato per AOR Heaven, Walk the Walk, eponimo della band (o viceversa), formata dai soli Adler e Alfery, è un compendio eccezionale dell’hard rock americano degli anni che ne segnarono la fine del periodo più luminoso e di successo.
Nel disco ritroverete gli Winger, i Def leppard (che americani non sono, ma avrete capito cosa intendo), gli Skid Row, i Lillian Axe, gli Steelhouse Lane, i Babylon AD: tutti lì, giovani e con tanti capelli, incerti se indossare un paio di spandex tigrati o di jeans sgualciti.
Heaven’s On Its Way Down pare saltata fuori da Hysteria e, pur nella sua qualità indiscutibile, mi ha preoccupato, facendomi immaginare una band clone dei Def Leppard. Ma Running From You mi ha tolto ogni dubbio, percorrendo strade decisamente più hard rock (ecco, gli Winger) con una dinamica, una semplicità, un gusto della melodia che ancora stupisce le mie orecchie consunte da decenni di ascolto del medesimo genere: che anora oggi riesce a suonare fresco. Bravi.
Are You There è un bel mid-tempo melanconico vagamente a la Extreme, mentre Two Miles To Go suona come se i Van Halen incontrassero gli Skid Row più festaioli e street.
Find The Light fa invidia ai Bon Jovi, perché è un pezzo che la plurimilionaria band non riesce a scrivere da almeno venticinque anni. Certo, richiama You Give a Bad Name (che resta irraggiungibile), ma lo fa con una personalità tale da suonare quasi originale.
Fight On Your Feet torna a evocare gli Skid Row, soprattutto nel riff, mentre Get Busy Livin’ sta tra i Love/Hate e, ancora, gli Winger, ma senza stupire troppo.
Move On vuole essere class metal: pensate a dei Dokken dai suoni meno prodotti, o ai Fifth Angel più hard rock.
E poi c’è la ballad: non poteva mancare la power ballad melanconica che evoca immagini in bianco e nero al rallentatore. E qui gli Winger davvero s’impongono come il modello di riferimento dei Walk the Walk. Il titolo, Never Been To California, riesce nel paradosso di portarci al tramonto sulla spiaggia di Venice Beach, mentre le luci della città iniziano a imporsi sulla notte incipiente.
Infine, Getaway è tutta groove e chitarrismo tamarro, perfettamente adatto al genere, ma supportato molto bene da un ritornello corale pieno e da una strofa dalla melodia lodevole.
Vorrei dire che i Walk the Walk sono una sorpresa. Per certi versi, lo sono, perché ignoravo che esistessero; ma, in vero, si tratta di un progetto che semplicemente è arrivato nelle nostre orecchie con trent’anni di ritardo, scritto, suonato e prodotto da due musicisti di grande spessore che possono vantare di aver vissuto in pieno la scena di quegli anni, senza risultare oggi dei ridicoli cloni passatisti.
Chissà come i più giovani tra i lettori di True Metal accoglieranno un prodotto del genere. Chissà se suonerà loro datato e tutto sommato inutile, oppure se li incuriosirà con suoni che non paiono avere tempo e pezzi che, pur sembrando scritti nel 1991, si adattano perfettamente al 2021. Lo capirete: ci sarebbe molto da scrivere sullo stato della nostra musica preferita. Non è questo il tempo e il luogo: qui, per ora, ci basta tornare ad ascoltare un’altra volta Walk the Walk. Fatelo anche voi.

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