Recensione: Walk The Wire

Di Lorenzo Gestri - 15 Luglio 2015 - 17:08
Walk The Wire
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 1994
Nazione:
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78

I Walk the Wire sono (furono?) una delle tante tristi realtà che costellano il firmamento del mercato discografico: giovani dotati di talento che -vuoi la difficoltà di emergere in un mondo competitivo, vuoi la complessità di saper gestire le varie vicissitudini della vita privata e/o di gruppo- spariscono nell’oblio del “silenzio radio”, spesso senza nemmeno aver avuto il tempo di lasciare alcuna traccia. Per nostra fortuna, una testimonianza del loro passaggio è rimasta, e che testimonianza!

Conosciuti in origine come Frozen Heart (moniker che fa tributo all’omonimo brano degli FM), il quintetto proveniente dall’Essex fu una delle tante band che a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 avreste potuto facilmente trovare a suonare a giro per i locali rock londinesi. A solo un anno di distanza dalla formazione ufficiale, la band vinse il BBC Essex Radio Contest del 1989, aggiudicandosi come primo premio l’occasione di fare da gruppo spalla ai Dr.Feelgood al Southend Cliffs Pavillion, di fronte ad un pubblico di almeno 1500 persone. La visibilità acquisita suonando assieme a titani come Magnum e FM spinse le radio londinesi, su richiesta del pubblico, ad interessarsi al quintetto, dando occasione a questi ragazzi di presentare direttamente in onda i loro primi pezzi originali, tra i quali “Shot it to the top” ed “Heart of the night”.

Ma la svolta decisiva avvenne successivamente con la vittoria del BBC Radio One Rock War Contest, evento che, oltre ad offrire come premio l’accesso ai famosissimi Maida Vale Studios della BBC per la registrazione di una live session, permise indirettamente ai Walk the Wire di aggiudicarsi qualche anno dopo il contratto discografico da parte della EMI-Toshiba per registrare finalmente il loro debut album.

Il sound sviluppato negli anni di gavetta che i WTW ci servono “sul piatto” presenta una sorprendentemente bilanciata dose di tastiere, chitarre e batteria, riuscendo ad esaltare ognuno di essi senza mai soffocarli. L’onnipresenza di quei sintetizzatori che hanno caratterizzato mostri dell’AOR come Survivor e FM potrebbe quasi portarci a definirli Hi-tech AOR e, se l’introduzione “Quadrature” non dovesse esser sufficientemente persuasiva, aspettate di sentire “Remember” e la catchy “Nothing to loose” per convincervene.
È curioso notare, dopo un ascolto complessivo di questo disco uscito in piena era “compact disc”, quanto riesca ancora ad incombere su di esso l’ombra del supporto del vinile, il cui palinsesto prevedeva – a causa del minutaggio limitato delle due facce – la suddivisione del percorso melodico in un primo e un secondo tempo. E in effetti, se con la mid-tempo “On the run” e la ballad alla quinta posizione “The knives are out tonight” l’atmosfera si addolcisce, con lo scoccare della successiva svegliabambocci “Stand up and fight” si può percepire il ritorno a tempi più frenetici. Nelle seguenti “Storm Warning” e “Hold on to your dreams” si fanno poi protagoniste le chitarre, pompose e taglienti come nostro Signore dell’Hard Rock vorrebbe, accompagnate da una batteria più pestata e pesantemente riverberata che attinge allo stile dei primi Journey. Il disco scorre così piacevolmente che con l’arrivo della dolcezza della seconda ballad “Running from my heart” si dà per scontato che l’ascolto sia prossimo alla fine… quando a gran sorpresa spunta in chiusura uno dei migliori pezzi del platter, l’energica “Crossfire”.

Una piacevole sorpresa questo self-titled album. Certo, ben lontano da poterlo definire quel capolavoro che in esso molti recensori hanno riconosciuto, poichè a livello compositivo si potrebbe rimproverare talvolta la mancanza di quel pizzico di carattere che avrebbe rimarcato l’identità di ogni singolo pezzo, evitando così quell’alterna sensazione di déjà vu.
Non mi soffermerò poi sui testi, dei veri e proprio clichè di un genere intriso di quel mix di magia e spensierata ingenuità che caratterizza lo zeitgeist musicale – e non solo – del tempo a cui esso appartiene.
Eppure, con l’esordio nel giugno del ’94 di questo meritevole lavoro, i feedback positivi non mancarono; se l’abbandono di alcuni membri fondamentali non avesse segnato di lì a poco la loro fine, con ogni probabilità i WTW avrebbero potuto assistere alla loro rapida ascesa all’olimpo dell’hard rock melodico.
Ahimè, la band sparì e per anni il loro breve passaggio nella storia del rock rimase solo un mero ricordo.

A portarlo avanti ci ha però pensato la label tedesca YesterRock, che nel 2011 ha ripreso i contatti con l’ex tastierista Nigel Hobbs al fine di pubblicare una ristampa del disco completamente rimasterizzata ed arricchita dall’aggiunta di alcuni pezzi (inediti nel disco originale), scritti quando il sogno del successo sembrava a portata di mano.

Un vero peccato che sia finita così.
 

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