Recensione: Wanderer On The Edge Of Time
Annunciato come “il disco più progressive della carriera”, Wanderer On The Edge Of Time segna il ritorno in scena di una delle band più valide (e anche più snobbate, diciamolo) del panorama thrash metal europeo. Genere comunque al quale i Mekong Delta non si sono mai sentiti legatissimi, non nel senso più stretto del termine, perlomeno. La band tedesca guidata da Ralph Hubert (unico membro rimasto sempre in pianta stabile in line up) ha sempre avuto, in effetti, un occhio di riguardo per contaminazioni esterne come il progressive rock di stampo settantiano, ad esempio, senza contare una preparazione tecnica messa sempre in ampio risalto nelle proprie composizioni.
Wanderer On The Edge Of Time appare, già dalle dichiarazioni della band stessa, come un vero e proprio punto di svolta, a partire da una line up che, come da abitudine, cambia per ben 4/5 (con il solo Hubert a rimanere come membro fisso), e fino ad arrivare ad uno stile compositivo maggiormente orientato verso il progressive. Ma non solo, la nuova creatura partorita dai Mekong Delta, come si capisce subito dall’artwork (a dir poco splendido, tra l’altro), si accosta soprattutto, grazie alla formula “tema-variazione” che si ripete quasi costantemente nell’arco dell’intera tracklist, alle composizioni orchestrali dei primi anni del ‘900. Un tributo alla musica d’arte, quindi, e forse anche a Richard Strauss (compositore anch’esso tedesco), come si può benissimo capire da una tracklist che, effettivamente, si presenta come un’intera suite di quasi cinquanta minuti suddivisa in sette movimenti e cinque interludi. A farla da padrona è soprattutto una prova esecutiva letteralmente da applausi, dove a ritagliarsi il giusto spazio, ed a raccoglierne naturalmente i meriti, sono tutti i musicisti presenti, con menzione speciale per il cantato eccezionale di Martin LeMar e per la precisione millimetrica del drummer Alex Landenburg.
Come si diceva, la formula alla quale si affida il gruppo tedesco è soprattutto quella del “tema più variazione”, il primo proposto già nell’Ouverture strumentale che lascia spazio, successivamente, a “A Certain Fool” (Le Fou), primo movimento della suite più prog oriented, condito dai suoni di chitarre acustiche e parti orchestrali magniloquenti. Il lato più energico e thrash (anche se non in senso strettissimo) della band viene messo in risalto improvvisamente con il primo interludio strumentale, che vale come prima variazione del tema principale e che introduce il secondo movimento denominato “The 5th Element” (Le Bateleur), dove questa volta i ritmi si fanno più serrati, senza comunque lasciare da parte un gusto melodico sopraffino e che sarà sempre presente per tutta la durata della tracklist. Stesso discorso anche per la successiva “The Apocalypt – World In Shards”, dove la base ritmica tende a farsi ancora più dirompente, con partiture capaci di mettere in netto risalto una tecnica che, in ogni caso, non risulterà mai essere fine a se stessa, né in questo caso, né tanto meno nei pezzi successivi. Più elegante e raffinato invece l’interludio numero tre, dove riaffiorano nuovamente i suoni di chitarra acustica che anticipano le ritmiche più moderate dell’intensa “King With Broken Crown” (Le Diable), brano contraddistinto soprattutto da un’atmosfera a tratti più oscura. La tecnica dei singoli componenti viene nuovamente messa in risalto con il movimento cinque, intermezzo strumentale seguito dall’ennesima variazione del tema principale che ritroviamo nell’interludio numero quattro. Il continuo cambio di umori, di atmosfere e di sonorità non tende a cessare nemmeno in coda alla tracklist, dove troviamo prima la sognante “Affection” (L’Amoureux) (ancora protagoniste le chitarre acustiche, in questo caso), mentre la conclusione vera e propria è affidata al ritorno in cattedra di una base sonora nuovamente vicina al thrash di “Mistaken Truth” (Le Hérétique) (settimo e ultimo movimento) e all’ultima variazione del tema principale che ritroviamo nel Finale.
Un disco piuttosto ambizioso e, in ogni caso, non poi così difficile da digerire, nonostante la sua complessità. Wanderer On The Edge Of Time convince per una prova esecutiva senza la benché minima sbavatura, per una qualità complessiva dei brani decisamente alta e, soprattutto, per alcune soluzioni melodiche che rendono l’ascolto piuttosto fluido e meno ostico, soprattutto per le orecchie di chi non è abituato a simili sonorità. Ma non solo, può essere anche tranquillamente considerato come uno dei migliori dischi mai composti dai Mekong Delta, nonché una delle uscite più interessanti di questo 2010.
Angelo ‘KK’ D’Acunto
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Tracklist:
01 Intro – Concert Guitar
02 Ouverture
03 “A Certain Fool” (Le Fou) // Movement 1
04 Interlude 1 – Group
05 “The 5th Element” (Le Bateleur) // Movement 2
06 Interlude 2 – Group
07 “The Apocalypt – World In Shards” (La Maison Dieu) // Movement 3
08 Interlude 3 – Concert Guitar
09 “King With Broken Crown” (Le Diable) // Movement 4
10 Intermezzo (Instrumental) // Movement 5
11 Interlude 4 – Group
12 “Affection” (L’Amoureux) // Movement 6
13 Interlude 5 – Group
14 “Mistaken Truth” (Le Hérétique) // Movement 7
15 Finale
Line Up:
Martin LeMar: vocals
Erik Adam H. Grösch: guitar
Benedikt Zimniak: guitar
Ralph Hubert: bass
Alex Landenburg: drums