Recensione: War Games
INTRODUZIONE
Siamo nell’ anno 1980, un diciottenne di belle speranze, di nome Chris Bolthendal, proveniente da una cittadina della provincia tedesca, chiamata Gladbeck, decise che era giunta l’ora di trasformare la sua passione musicale in qualcosa di più. Fu così che, grazie all’ aiuto del fidato amico Peter Masson, nacquero i Grave Digger. Ma a mano a mano che la band ( che si era intanto infoltita grazie all’ ingresso di Will Lackmann e Albert Eckardt ) prendeva gusto in quello che faceva, ad egual passo cresceva anche la voglia, in Chris Bolthendal di modellare questo progetto che aveva iniziato tempo addietro, per farlo diventare qualcosa di reale, e che collimasse con la sua sete di ambizione, che come si può facilmente immaginare, in un giovane alle prime armi, ma con tanta voglia di fare, sia sicuramente molto grande. Il 1983 è infatti, l’anno in cui arriva alla band la prima proposta seria, da parte di una casa discografica chiamata Noise, che gli pone innanzi la possibilità di metter su un disco tutto loro, la loro vera prima creatura. Già un anno dopo, la band rilasciò il suo primo album, che portava il nome di “Heavy Metal Breakdown”, calcando le scene con un sound tipicamente tedesco, che a volte ricorda quello degli Accept, ma molto più poderoso e ritmicamente incalzante, ma non per questo tecnicamente inferiore. Riprovà di ciò fu il grande successo che questo disco ottenne, sbancando le classifiche in Germania in men che non si dica. Oramai la band era sulla cresta dell’ onda e due anni dopo, avrebbe rilasciato la sua seconda fatica, “Witch Hunter”, che riconfermò in pieno quanto di buono la band aveva fatto col suo debut album, lanciando la band verso un successo senza precedenti. Ma l’ anno che di cui vi voglio raccontare non è né il 1983 né il 1985, bensì il seguente, anno che vide la pubblicazione della terza release della band: “War Games”, ed è proprio di questo disco che parleremo durante il corso di tutta la recensione, cercando di inquadrarlo sia sotto il profilo artistico, che sotto quello storico, poiché il terzo lavoro della band è importante non solo per mettere a fuoco in maniera particolareggiata le peculiarità stilistiche che sono state introdotte nel corso del triennio d’esordio, che avrà culmine in questo disco, ma anche per chiarire alcuni aspetti storici, che non esito a definire centrali per la comprensione di questo album.
NOTE STORICHE
Per carpire approfonditamente l’essenza questo disco, è necessario comprendere anche il contesto storico-geografico dal quale esso proviene. Il periodo di rilascio di questo album, ovvero l’anno 1986, che fu molto particolare per la storia dell’ umanità, a causa dei problemi di ordine etnico che stavano investendo, ma che come sappiamo, sono all’ ordine del giorno anche oggi, il Medio Oriente, con atti di terrorismo e guerriglia urbana da parte delle fazioni avversarie, israeliani e palestinesi, che da millenni si combattono per il possesso di un fazzoletto di terra, obbligati da degli sciocchi dogmi religiosi, che la gente segue ormai soltanto nel rispetto delle generazioni passate, perpetuando quindi un conflitto che mai avrà fine. L’86 è anche l’anno di maggiore esposizione di Saddam Hussein, fresco di elezione ad unico dittatore dell’ Iraq, che rivendicherà il possesso dell’ adiacente territorio del Kwait, scatenando le ire di mezzo mondo, e dando vita, alcuni anni più in là, a quella che vierrà chiamata la “Guerra del Golfo”. Questo potrebbe non essere assolutamente in alcuna relazione col disco che vi sto descrivendo in questa recensione, ma pensare ciò è, a mio avviso, sbagliato. Tutti questi avvenimenti, infatti, hanno sensibilizzato in maniera piuttosto marcata l’animo di Chris Bolthendal, da sempre uomo molto attento a questo genere di tematiche e che, ovviamente, si schierò fin da subito con le tesi anti-militariste, prendendone addirittura spunto per un suo disco. Egli però, volle ispirarasi principalmente ad un altro conflitto, che 40 anni addietro aveva scosso l’ intero pianeta: la Seconda Guerra Mondiale. Conflitto che nella Germania in particolare, aveva lasciato un segno indelebile del suo passaggio, data la netta sconfitta che le truppe naziste riportarono alla fine della Guerra, rimarcata poi in maniera ancor più consistente dalla costruzione del Muro di Berlino, che divideva la Germania dell’ Est da quella dell’ Ovest. Ed è proprio in riferimento a questa guerra che molti dei pezzi dell’ album sono stati creati. Principalmente di uno, però, mi preme di parlare, poiché la storia che cela dietro il suo nome è veramente molto interessante. Sto ovviamente parlando della settima canzone che compone il platter di War Games, ovvero “( Enola Gay ) Drop the bomb”. Enola Gay infatti, non è altro che il nome del caccia bombardiere che il 6 agosto del 1945 rilascò contro la città di Hiroshima, in Giappone, una testata nucleare, che avrebbe di fatto segnato la fine delle ostilità fra il popolo del Sol Levante e gli Stati Uniti D’America, chiudendo allo stesso tempo definitivamente le ostilità della Seconda Guerra Mondiale. Due aneddoti molto interessanti vanno ricordati riguardo a questo caso, il primo riguarda il nome del velivolo, che derivava dal nome di una donna, la signora “Enola Gay”, madre del generale della divisione aeronautica degli Stati Uniti, il comandante Tibbet. L’altro aneddoto riguarda il pilota del bombardiere, il colonnello Thomas Wilson Ferebee che, intervistato alcuni anni dopo l’ avvenimento, commentò a riguardo dicendo: “Ho fatto solo il mio dovere”, cosa che ci può far rendere l’idea di cosa s’intende quando si parla di patriottismo.
IL DISCO
War Games sarà tramandato ai posteri come uno dei dischi più criticati e chiacchierati dell’ intera discografia dei Grave Digger. L’album infatti, nonostante fosse qualitativamente sopra la media, non attirò subito l’attenzione dei fans e della critica in generale, che diede addosso a Bolthendal e ai suoi principalmente perché riteneva che la band avesse smarrito tutta la sua proverbiale inventiva, soprattutto dal punto di vista del songwriting, e che si fosse appoggiata agli eventi storici sopraccitati per cercare di colmare questo genere di mancanza. Il totale fallimento del loro tour di presentazione del disco non ne fu altro che la riprova, e ingiustamente, condannò i Grave Digger e costrinse Chris a cedere alle insistenze della loro casa discografica, che considerava il loro un genere musicale superato, e che li obbligò ad accorgiare il nome in Digger, facendo così produrre alla band un suond molto più commerciale, molto vicino ad un rock melodico. Questo, ovviamente segnò la fine dei Grave Digger degli anni 80 e fece registrare anche una profonda rottura all’ interno della band, che addirittura costrinse Bolthendal a sciogliere il gruppo dopo l’ennesimo fallimento dato dal disco: “Stronger than ever”. Ma passiamo a parlare in maniera particolareggiata di questo War Games. Devo dire che, a mio avviso, questo lavoro rappresenta la vera e propria Cenerentola, l’incompresa, di questa band. Un album molto sottovalutato, che cela invece, dentro di sé, affascinanti sonorità e performance tecniche, veramente interessanti. Scopriamo quali. Intanto l’introduzione di un vero e proprio lento all’interno della tracklist, cosa inedita per i Grave Digger dell’ epoca, che avevano basato il loro sound sulla potenza e soprattutto sulla velocità. Love is breaking my heart è il nome di questo pezzo, veramente interessantissimo, in cui Chris ci delizia con una vocalità impressionante, una voce deliziosa che ci culla fra le tranquille note di questa canzone che, oltretutto, possiede anche un testo veramente pregno di emozioni da trasmettere all’ ascoltatore. Questa traccia ci introduce al pezzo sonoricamente e stilisticamente più articolato e pregevole dell’ intero platter, Paradise, brano eseguito in mid tempo, ma non per questo poco deciso e cattivo. Ovviamente qui si parla di un cattiveria molto più velata, più casta, rispetto agli altri lavori dei Diggers, ma a suo modo, genera nell’ ascoltatore lo stesso tipo di emozioni di qualsiasi altro pezzo più veloce ricavato dai precedenti album della band. ( Enola Gay ) Drop the bomb, canzone simbolo di questo disco, si apre con un effetto sonoro che riproduce il lancio di una bomba ( probabilmente una testata nucleare, chissà ), che ci lancia subito nel poderoso incalzare di questo pezzo, eseguito per gran parte in doppia cassa, con un ritmo così ben congegnato e cadenzato a far venir quasi voglia di ballarlo. Altro pezzo che ha destato il mio interesse è la opening track: Keep on rocking, la cui intrigante sonorità mi ha subito colpito e il refrain veramente molto completo e inaspettato per una heavy metal band come i Grave Digger ne ha fatto uno dei miei pezzi preferiti dell’ intera discografia della band teutonica. Questo album non è ovviamente, un capolavoro, ma la critica è stata forse un po’ troppo affrettata nel giudicarlo, e soprattutto nel bocciarlo. La sua importanza all’ interno della discografia dei Grave Digger ne ha fatto un disco veramente imprescindibile, che ha delimitato le due ere della carriera della band, dividendo in maniera netta il periodo degli Eighties da quello direttamente successivo, che conoscerà una band profondamente cambiata rispetto a quella che aveva amato e allo stesso tempo, odiato, anni addietro.
Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini
TRACKLIST
Keep on rocking
Heaven can wait
Fire in your eyes
Let your heads roll
Love is breaking my heart
Paradise
( Enola Gay ) Drop the bomb
Fallout
Playing fools
The end