Recensione: War Machine
Nel 2024 il guitar hero statunitense Chris Impellitteri ha compiuto sessant’anni, ma a quanto pare l’età che avanza non sembra interferire con la precisione e la velocità del suo shredding iper-tecnico. Annoverato tra i virtuosi più veloci al mondo sulla sei corde, Impellitteri conduce la band che porta il suo nome al tredicesimo album in carriera, assieme al fedelissimo Rob Rock al microfono e James Pulli al basso. Novità alla batteria, l’ex-Slayer Paul Bostaph, garanzia di qualità e potenza dietro le pelli, che spinge le ritmiche verso lidi ancora più thrash.
Presentato da una copertina alquanto sobria e dimessa, in War Machine da buona tradizione gli Impellitteri propongono un heavy metal vecchia scuola, con brani di breve durata, sempre legati alla forma-canzone tradizionale in cui l’esplosivo virtuosismo chitarristico si fa funzionale alla struttura del brano, costruito su riff rocciosi e ritmiche sferzanti, tanto che gli undici brani scorrono velocissimi, in meno di quarantacinque minuti: un giro di montagne russe.
Inutile soffermarsi sulle performance di un quartetto così ben rodato ed esperto, delle vere e proprie “macchine da guerra”: il talento dei musicisti è innegabile, la voce acutissima di Rob Rock è da sempre marchio di fabbrica della band. Un rapido ascolto ai singoli che hanno preceduto la pubblicazione del full-length, per l’etichetta italiana Frontiers Records, può essere più che sufficiente per entrare nel mood del lavoro. Pezzi come “Out of my Mind (Heavy Metal)”, “Power Grab” e “Hell on Earth” sono dei veri e propri manifesti di un modo, classicissimo di intendere il metallo, che strizza facilmente l’occhio ai fan in denim and leather nostalgici degli intramontabili anni ’80. Ad attualizzare un po’ ci pensa un brano come “Superkingdom”, altro pezzo consigliato, sul tema dell’intelligenza artificiale forte, a richiamare la piovra di matrix-iana memoria che si staglia sullo sfondo dell’artwork. Altri pezzi ben riusciti, in un lotto comunque che non si sbilancia in quanto a varietà, l’impetuosa “Wrathchild” (che non è una cover dei Maiden), e la corale “Gone Insane”.
“War Machine” è l’ennesimo tassello nella lunga carriera di Impellitteri, forte della solita prova sopra le righe del mitico Rob Rock e della straordinaria abilità del chitarrista statunitense. Nulla di particolarmente originale che non ricordi qualcos’altro di già sentito, anche dello stesso autore, ma al contempo un album decisamente ben suonato da una lineup stellare, tecnico e rifinito, ben prodotto e che farà fare un bel tuffo nei ricordi ai metallari di scuola classica, per i quali un ascolto è d’obbligo.
Luca “Montsteen” Montini