Recensione: War of being
“War Of Being”, letteralmente “guerra dell’essere”.
In un periodo storico come il nostro, dove il concetto dell’apparenza domina incontrastato, un tema così centrale attira sicuramente l’attenzione. Si tratta di un sentimento viscerale, che attanaglia ogni singolo individuo dalle prime luci dell’alba all’inesorabile ascesa delle tenebre, le quali si nutrono dei pensieri infausti che albergano le nostre anime. Sullo sfondo, una figura femminile di grigio velata, dà le spalle alla propria immagine gemella che sfuma come polvere al vento, rendendo l’atmosfera cupa e misteriosa, simbolo drammatico di quelle certezze man mano sempre meno indissolubili.
Ed è a partire da queste fondamenta che si apre il sipario, con la prima traccia “Natural Disaster” che colpisce come un pugno in pieno stomaco, potente e aggressiva, ma arricchita da quel senso di profonda angoscia emotiva che non lascia scampo neanche per un secondo. I passaggi tra clean vocal e growl sono talmente immediati da far mancare il fiato, permettendoci così di calarci alla perfezione nell’atmosfera che quest’opera vuole donarci. Nel bel mezzo di una tempesta emotiva dirompente si fa strada “Echoes”, tra riff massicci e quella palpabile percezione di ogni singola particella di sé, pronta a esplodere come dinamite al minimo cedimento. Se la vita di ogni individuo è segnata da dolori e sofferenze, in queste prime due tracce possiamo percepirne tutta la violenza, ma al contempo la voglia di uscirne vincitori.
Per dipingere un paesaggio simile, arido e decadente, non possono che essere usati toni oscuri e anodini: là dove il nero rappresenta la morte di ogni cosa, “The Grey”, tratteggia le linee invalicabili di un territorio dal quale dovremmo tenerci alla larga, evitando così di finire come paglia sotto un sole cocente. Ma come ben sappiamo, le nostre ombre ci seguono fedeli e morbose, e a nulla servono i nostri tentativi di staccarcele di dosso. È quindi evidente che ogni individuo porta la propria croce e ne subisce le conseguenze, ma siamo realmente soli lungo la via? “Legion” è un grido disperato, potente e sofferto, alla ricerca di chiunque possa porci la mano per aiutarci a tornare in piedi e proseguire la nostra via crucis: ogni componente della band mette in musica partiture fortemente emotive, che rendono l’idea del profondo senso di agonia che ognuno di noi trasmette e condivide. Scesi ormai a compromessi con questa nostra condizione, cediamo le membra alla stanchezza ed alla frustrazione, che in “Tender” pare prendere le sembianze di uno spettro, che fuoriuscito dal nostro corpo inerme, fugge alla ricerca di una nuova dimora, magari più viva e accogliente. Si percepiscono per la prima volta sonorità lente e malinconiche, che rendono la traccia godibile e perfetta per la sua funzione.
“War Of Being”, title-track dell’album nonché traccia più lunga dell’opera, traspone nei suoi undici minuti tutti i concetti già espressi finora: la voce gioca una partita teutonica tra clean e growl, le chitarre si danno battaglia tra riff potenti ed evocativi e momenti di profonda intimità, sorrette dal basso e dalla batteria di Amos e Jay, i quali ergono di fronte all’ascoltatore un muro invisibile ma irrimediabilmente invalicabile, simbolo della nostra fragilità più intima. Se si potesse riassumere l’album con una sola traccia, “War Of Being” si dimostrerebbe madre fertile e accogliente anfora per tutte le emozioni finora raccolte.
“Sirens” è una botta emotiva alla quale non eravamo stati preparati: ogni nota pare dare un senso alle sofferenze provate fino a questo momento, tentando di chiudere un cerchio fatto di tenebra ed oscurità; possiamo provare a chiudere gli occhi e lasciarci andare al tepore delle sue melodie, ormai siamo al sicuro, protetti da note angeliche e soavi. Nel buio che si palesa di fronte a noi, proprio quando abbiamo dato pace alle nostre menti affrante, “Burden” appare come una piccola lucciola, fonte di luce placida e ballerina, compagna perfetta per arrivare sani e salvi, seppur stremati, alle porte della fine di questo tormento interiore. Ma è proprio nelle note finali che quell’esserino pare prender fuoco e incendiarsi, quasi volesse destarci da un’illusione che fin troppo avevamo bramato. Sconvolti da quest’esperienza turbolenta ed estenuante, usciamo dall’incubo ormai senza forze: “Sacrifice” segna la resa definitiva, osservandoci in ginocchio, afflitti e privi di ogni capacità di ribellione: abbiamo scrutato dentro l’oblio, finendo per non accorgerci che, in realtà, era egli stesso a manovrare i fili del nostro cammino.
“War Of Being” mette l’ascoltatore di fronte alla profondità della propria essenza, dimostrandosi un demone difficile da abbattere e superare; ma come ci hanno sempre insegnato fin da piccoli, basta accendere una candela per illuminare anche la notte più oscura.