Recensione: Warlords
Gli svedesi Helvetets Port fanno parte di quella genia di più o meno giovani band – esisitono dal 2001! – dedite a rispolverare i fasti dell’heavy metal classico un po’ in tutte le sue diverse accezioni. E fin qui nulla di nuovo, dal momento che la cosa è ormai divenuta un trend, in grado di sfornare qualche gruppo interessante fra le miriadi di cloni in circolazione dei quali sinceramente si potrebbe fare anche a meno, dal punto di vista squisitamente tecnico. Completamente differente viceversa il discorso legato all’attitudine espressa dalla totalità dei complessi ricompresi nel novero: essi risultano fondamentali per il prosieguo dell’intero genere dal momento che i vari Saxon, Cirith Ungol, Satan e compagnia cantante molto allargata non potranno durare in eterno.
Warlords, licenziato sul mercato dalla High Roller Records, rappresenta il terzo capitolo discografico dei cinque iperborchiati heavy metaller di Gothenburg, ceffi che rispondono ai nomi, o meglio ai nomignoli di Witchfinder (voce), K. Lightning (chitarra), Virgin Killer (chitarra), Earthquake (basso) e O. Thunder (batteria).
Il lavoro, nella sua versione in cd oggetto della recensione, si accompagna a un libretto di sedici pagine con tutti i testi e delle foto dei singoli componenti la band in pose e mise guerresche, fra mazze borchiate, armi medievali, mitra e lame di seghe circolari avvitate su bastoni atti a offendere, indi totalmente in linea con l’immagine di copertina.
Un look che non lascia spazio a dubbio alcuno riguardo il contenuto di Warlords, disco che si declina lungo undici tracce per poco meno di tre quarti d’ora d’ascolto.
Il cantato di Witchfinder poggia su di un’impalcatura di stampo melodico che restituisce ai vari brani quella necessaria patina per sgrezzare il tutto sebbene gli svedesi siano piuttosto educati nell’esecuzione. A tratti, addirittura e con i dovuti ultra obbligatori distinguo il frontman ricorda Mark “The Shark” Shelton per come talvolta allunga il tiro. Puntualizzato quanto sopra gli Helvetets Port si dimenano fra rigurgiti Nwobhm (“Wasteland Warriors”), la scuola epica americana (“Mutant March”, “Key to the Future”) e ovviamente il proprio retroterra (“Tyrants in Tokyo” e “Cry of the Night”) omaggiato anche dalle varie “Hårdför Överman” e “Helvete På Larvfötter” in lingua madre. Deludente “Legions Running Wild” che, a dispetto delle aspettative, anche se probabilmente mal riposte e solamente immaginate, di Rock‘N’Rolf e compagnia non ha proprio nulla.
La peculiarità degli Helvetets Port risiede nel fatto che, incredibilmente, non assomigliano a nessuno in particolare, quantomeno in maniera spudorata, nonostante si rifacciano platealmente alla grande lezione dell’Acciaio degli anni Ottanta. E proprio questa loro tipicità consente a Warlords di distaccarsi dalla maggioranza dei prodotti realizzati dalla nutrita concorrenza, senza per questo avere la velleità di sconvolgere la storia della musica dura.
Piacevole.
Stefano “Steven Rich” Ricetti