Recensione: Warpaint
Certo è che i Buckcherry nella loro carriera si sono complicati la vita non poco, soprattutto nei migliori momenti, quando tutto sembrava filare per il verso giusto.
Facendo due passi indietro senza risultare autobiografici, formatisi nel 1997 nella soleggiata e movimentata Los Angeles registrarono due dischi che li portarono agli onori della cronaca per poi sciogliersi solo cinque anni dopo.
La reunion del 2005 portò, oltre una nuova formazione, anche dei lavori di successo come 15, LP ricco di Hit, tra le quali ricordiamo Sorry, Everything o la scanzonata e immancabile nelle scalette live, Crazy Bitch.
Proprio quando tutto stava andando alla stragrande e il loro stato di salute veniva confermato da ottimi dischi come il diretto Black Butterfly e il più complesso ma stupendo Confessions del 2013, qualcosa nella macchina Rock n’ Roll decapottabile guidata saldamente dal singer Josh Todd e dal suo fedele compagno di sventure Keith Nelson, nonché cofondatore della band, incominciò a incepparsi.
Le prime avvisaglie cominciarono a intravedersi con l’EP di cover rivisitate Fuck e il successivo disco di inediti del 2015, Rock n’ Roll che tutto era tranne che un disco memorabile, risultando quasi forzato nel suo andamento come se fosse composto da una decina di B sides e non da vere rock n’roll songs come i Buckcherry ci avevano sempre abituati.
La catastrofe infatti era dietro l’angolo; nel 2017 verrà comunicata la separazione della band dal poderoso drummer Xavier Muriel e dallo stesso Keith Nelson, che allo stesso tempo ricopriva il ruolo di maggiore compositore della band insieme al frontman Todd nonché produttore.
La domanda, visto e considerate le ultimi due uscite discografiche che segnavano un calo di ispirazione notevole rispetto allo strabiliante Confessions, circa la possibilità un’ennesima resurrezione era assolutamente lecita cosi come era lecito dubitare, nel caso ci fosse stato un nuovo disco, sulla la riuscita qualitativa dello stesso dopo l’ennesimo terremoto.
Ebbene, poco dopo l’abbandono dei due componenti storici della band Josh tranquillizza tutti sottolineando che non è la fine della band ma solo una nuova rinascita con queste parole: “Non eravamo concentrati sulla stessa cosa ed è davvero difficile avere successo quando avvengono simili situazioni all’interno di una band. Abbiamo assoldato l’esperto musicista e produttore Kevin Roentgen alla chitarra e portato con noi all’ovile Francis Ruiz alla batteria (anche se il disco verrà registrato da Sean Winchester, vecchio amico di Todd e compagno d’armi nella sua stessa band JT and the Conflict), e siamo tornati a essere di nuovo una nave pirata, nonchè una band. E’ stato emozionante essere di nuovo i Buckcherry avendo tutti insieme un grande lavoro di scrittura riuscendo a coniugare al meglio lavoro, passioni e vite personali facendo si che tutta questa positività si riflettesse nel songwriting. Noi abbiamo avuto sempre avuto questo enorme obiettivo, superare le avversità; siamo stati contro il muro così tante volte durante questi 20 anni che è ora siamo qui con una fiamma ancora più grande dentro noi.”
“We’re making great music, and that’s when Buckcherry thrives”
Ed eccoci qui, a distanza di due anni scarsi a recensire la nuova e ottava fatica della band californiana Warpaint, anticipata da tre singoli apripista (di cui la cover pompata dei Nine Inch Niles “Head Like a Hole”) che non hanno fatto altro che alzare l’hype per questo disco che sa tanto di Ford convertibili anni settanta, larghe strade soleggiate, palme, cocktails, bikini e Ray Ban a specchio.
Questa volta il peso del songwriting è ricaduto tutto sulle spalle del solito Todd e del buon Stevie D, assoldato a compositore full time per questa nuova mina antiuomo rock n’roll e le differenze si sentono, eccome se si sentono.
Il frontman spiega la genesi del disco facendo qualche piccolo passo indietro raccontando pure dei simpatici aneddoti ma che risultano utili alla comprensione stessa del nuovo lavoro in studio della band:
“La cosa bella di Stevie D. è che l’ho conosciuto quando avevo 19 anni, prima di entrare nei Buckcherry. Quello che amo di Stevie è che siamo dannatamente simili. Vogliamo scrivere tutti i tipi di canzoni senza mai rimanere fossilizzati su un unico genere”.
Continua: “Eravamo in viaggio e io sono tipo fatto così: “Voglio fare un po ‘di musica!” È così che è nato Spraygun War EP (progetto fuori di testa di Todd e Dacanay orientato a sperimentazioni electronic/Rap) . Lo abbiamo realizzato sulla strada con i laptop. Successivamente volevo tornare alle mie radici più pesanti e fare un nuovo disco. Ed è così che abbiamo creato Josh Todd And The Conflict e siamo tornati al mio lato più aggressivo e pesante. Una volta arrivati al songwriting per il nuovo disco dei Buckcherry, Stevie e io eravamo in pieno feeling compositivo, sapevamo esattamente come comunicare tra noi per ottenere ciò di cui avevamo bisogno l’uno dell’altro”.
Parlando della genesi del nuovo Warpaint sottolinea: “Abbiamo un po’ di nuovo i perimetri verso i quali dovevamo attenerci per mantenere comunque lo spirito Buckcherry, ma volevamo anche portarlo ad un nuovo livello. Ci sono canzoni come The Alarm, The Vacuum, Back Down e No Regrets che incarnano tale spirito. Abbiamo davvero colmato il divario. Quello che mi piace dire è che abbiamo registrato un disco per i fan dei Buckcherry che sono con noi dal 1999 e i nuovi fan che stanno arrivando all’ovile, insomma, un qualcosa che tutti che tutti possano apprezzare”.
In effetti se si mette sul piatto Warpaint e si lascia partire a briglie sciolte le sensazioni sono esattamente queste; autenticità, spontaneità ma soprattutto consapevolezza nei propri mezzi unita a una grande dose di freschezza e ispirazione che mancava da un po’ di anni a questa parte. Le dodici canzoni che compongono l’ottava fatica californiana sono un autentica mazzata nelle gengive da parte di Todd e dei suoi fidi scudieri, e ciò che ha detto nell’intervista viene perfettamente trasferito in musica rock viscerale e diretta in faccia come un treno merci a tutta velocità.
Varietà e ispirazione; sono queste le parole d’ordine di questo nuovo platter che va oltre qualsiasi più rosea aspettativa ci saremmo potuti immaginare. Aggiungiamoci poi la leggerezza delle liriche che invocano sempre e comunque positività e voglia di fare festa, senza mai prendersi troppo sul serio e il gran disco è servito su un piatto d’argento.
La title track ha quel sapore retrò debitore alla vecchia scuola che punta tutto sul connubio orecchiabilità e solidità, riff graffiante e compassato che sembra uscito da un qualsiasi disco hard rock di trent’anni fa ma che funziona sempre alla perfezione come una Camaro SS bella chilometrata e rodata.
Tuttavia basta poco per intravedere nuove frecce nell’arco de Stevie D. e co.; Right Now è una rock/blues song suadente e avvolgente che col suo lento incedere ti accompagna lungo qualche desolata strada nei deserti californiani per poi esplodere in un ritornello dal grande groove senza perdere di vista il sapore caldo e secco che ti fa venir voglia di un bel cocktail gelato e una ghirlanda di fiori al collo.
The Vacuum è una canzone atipica per la band, un riff circolare che apre a una strofa dove la voce di Todd, mai come in questo album così pulita e leggermente filtrata che mette leggermente da parte il suo inconfondibile scream, ti trasporta su lidi completamente nuovi e da esplorare pioneristicamente, su spiagge deserte in preda ai venti oceanici, per poi tornare a capofitto in un ritornello da sicura futura Hit song.
Bent è la classica Buckcherry song ormai nota a tutti (il lyric video gira da un po’ di tempo su Youtube) mentre Back Down è stata presentata nelle date live in Europa come primizia per i fan che hanno avuto la fortuna di supportare la band dal vivo e ripiega verso l’atteggiamento più scanzonato e stradaiolo della band.
Come abitudine della band pure in questa nuova fatica fan capolino delle ballate, per esattezza due, Radio Song e The Hunter, delizia per qualsiasi vero rocker che si sia innamorato almeno una volta in vita sua, canzoni da suonare in riva al mare con qualche bottiglia al proprio fianco e gli amici più fidati ricordando i bei momenti che furono con una lacrimuccia di nostalgia.
Ma appena pensiamo che tutto sia giunto alla fine, la premiata ditta Todd/Dacanay mette in chiusura una doppietta che prende il nome di Closer e The Devil’s In the Details dove la band mette insieme groove, melodia e ritornelli che sembrano fatti apposta per essere cantati in qualche festa di fine anno tra belle donne, balli e dannato rock n’ roll sino a tarda notte.
Senza che ci sia bisogno di commentare filo e per segno ogni nota suonata dalla band possiamo definire Warpaint un LP che va oltre qualsiasi più rosea aspettativa e che per una volta ancora Josh Todd, uno dei pochi che oggigiorno incarna la vera anima da rockstar, ha avuto ragione regalandoci uno dei migliori album della band senza se e senza ma.
Si è riuscito a tirare fuori un disco ben ancorato alla tradizione Buckcherry senza il pericolo di autoplagiarsi ma guardando avanti senza mai fare il passo più lungo della gamba trovando un ottimo equilibrio tra ciò che fu e ciò che si è oggi grazie al proprio passato ma lasciando una porta aperta a ciò che sarà. Gli ingredienti utilizzati come, hard rock songs dal tiro immediato, quelle più groovie, le ballad, le sperimentazioni, ci sono tutti e vengono usati da mani sapienti come non mai.
Quando Todd nell’ intervista ha detto che stavano registrando un disco per fare felice i fan presenti e futuri della band non diceva cose a caso ma la più schietta verità; con Warpaint i Buckcherry invadono prepotentemente quel podio candidandosi senza paura a essere una delle migliori Hard Rock Band sul pianeta del momento (con buona pace dei cugini HCSS, Crashdiet e tutta l’allegra compagnia).