Recensione: Warring Factions

Di Emanuele Calderone - 29 Giugno 2009 - 0:00
Warring Factions
Band: Ansur
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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73

Da quando, nella prima metà degli anni ’90, fecero la loro comparsa band quali Arcturus, In The Woods… e Ved Buens Ende, il movimento avantgarde metal ha subito una continua evoluzione, vedendo moltiplicare i propri esponenti.
Tra i gruppi di recente formazione, uno di quelli che meglio ha saputo rielaborare la lezione dei grandi, è stato quello degli Ansur. Il trio norvegese si forma a Drammen nel 2003 e dopo appena un anno arriva al traguardo del primo demo, al quale fa seguito nel 2006 il primo full-length “Axiom”.
Lasciata alle spalle la prima prova discografia, i tre tornano sul mercato, nel 2008, con “Warring Factions” che rappresenta un vero e proprio punto di svolta: Nipe, Aulie e Ferguson tralasciano le sperimentazioni post-black metal per rivolgere la propria attenzione verso un sound nuovo. La base del platter, pur mantenendosi su territori avanguardistici sposa sonorità progressive metal. Su queste fondamenta i nostri costruiscono brani che incorporano influenze tra le più disparate, sebbene si noti una preponderanza di divagazioni jazz e country, oltre a un rock in odore di U2.

Diviso in sette episodi, questo “Warring Factions” riesce sin dal primo approccio a catturare l’attenzione dell’ascoltatore. L’apertura è affidata ai quasi nove minuti di “The Tunguska Incident”, brano esemplificativo della nuova filosofia ansuriana. Ad un’introduzione in sordina si lega dopo qualche secondo la chitarra; tempo poco più di quaranta secondi e ci si ritrova catapultati in un pezzo prog metal che attinge a piene mani dalla tradizione americana immergendo però l’ascoltatore, grazie anche all’utilizzo dell’hammond, in un’atmosfera dal retrogusto settantiano.
A brillare sono senza ombra di dubbio le parti strumentali: queste sono tutte legate tra loro con logica e, pure quando i nostri si incamminano su sperimentazioni più “curiose” (ad esempio nell’utilizzo del sax, strumento atipico nel metal), riescono a dimostrarsi sempre concrete e mai dispersive, grazie ad un netto miglioramento in fase di songwriting.
Contribuisce a rendere tutto più atipico la particolarissima voce del bassista/frontman Espen A.R. Aulie, dotato di un timbro lontano anni luce tanto dalle classiche voci progressive, quanto da quelle black. Le linee vocali acide ed esasperate stridono con la delicatezza e l’eleganza delle linee melodiche.
La successiva “Sierra Day” con i suoi 5 minuti e 53 secondi è la più breve canzone del disco. Ancora una volta gli Ansur si divertono a “giocare” e, partendo da una base progressive, arrivano a comporre una traccia dal sapore modern-rock. Evidenti le influenze firmate U2, riscontrabili nel mood e nelle linee di chitarra disegnate da Nipe, che svolge dietro la sua sei corde un lavoro pregevole, preciso e mai invadente. La struttura del brano risulta semplificata, presentando la classica alternanza strofa-ritornello-strofa-ritornello.
“Phobos Anomaly” è, tra le tracce presenti all’interno del cd, quella più avanguardistica ed atipica, a causa degli effetti di tastiera dal sapore futuristico. Ancora una volta si nota la forte contrapposizione tra l’eleganza delle melodie e la precisione dell’esecuzione (a proposito di ciò, i solos di chitarra sono lampanti esempi della preparazione della band), e la voce aggressiva e di estrazione thrash del vocalist.
A seguire troviamo la suite “An Exercise in Depth of Field”. Si parte con un’introduzione tribale alla quale seguono linee che richiamano strutture di stampo techno-metal. Dopo essere tornati a calpestare territori più propriamente progressive metal ecco, posto a metà del brano, uno stacco country che, nonostante possa far storcere all’inizio il naso, si rivela vincente, strabiliando per il modo in cui si lega armoniosamente al resto della track.
La coppia seguente “At His Wit’s End” e “Cloudscaper” si attesta su livelli qualitativi più normali senza colpire troppo. Le due canzoni, pur presentando delle linee melodiche interessanti, non riescono a colpire in maniera adeguata ed a restare impresse nella mente. Entrambe si muovono sulla solita base progressive: non presentando però alcuno spunto originale e/o eclatante. danno quasi l’impressione di essere due riempitivi.
Chiude il disco la seconda suite “Prime Warring Eschatologist”. I 12 minuti e 38 secondi della sua durata scorrono via che è una meraviglia. L’atmosfera introduttiva è stranamente cupa rispetto a quanto sentito fino ad ora, il merito è del pianoforte che crea un tappeto melodico oscuro ma allo stesso tempo romantico. L’entrata in campo degli altri strumenti stravolge l’anima del pezzo facendolo divenire dapprima quasi sognante, per poi esplodere in un progressive metal energico e potente. E’ nelle lunghe sessioni strumentali che i nostri danno sfogo alle loro capacità creative ed esecutive, sfoderando solos di classe (che in alcuni frangenti ricordano un ideale incontro tra i celeberrimi brani dei Dream Theater, “Take The Time” e “Learning To Live”), che si alternano con le parti cantate che si assopiscono nella chiusura.

Finito l’ascolto non resta dunque che volgere lo sguardo verso gli aspetti più tecnici di questo lavoro: la produzione mostra un netto passo avanti rispetto a quanto sentito sul precedente “Axiom”. I suoni sono decisamente più chiari, le chitarre non sono più zanzarose e basso e batteria sono distinguibili e udibili in ogni frangente.
Il songwriting si è fatto meno dispersivo rispetto al più recente passato, mostrando anche in questo caso un notevole miglioramento.

Un album dunque ricco di luci e con poche ombre, adatto ad un pubblico vasto ed in grado di piacere a persone con diversi back-ground musicali.

Tracklist:
01 The Tunguska Incident
02 Sierra Day
03 Phobos Anomaly
04 An Exercise in Depth of Field
05 At His Wit’s End
06 Cloudscaper
07 Prime Warring Eschatologist

Emanuele Calderone

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