Recensione: Water Shape
Un deciso passo in avanti rispetto al già gradevole debutto questo “Water Shape”, secondo capitolo discografico per i rockers bolognesi The Black Rain.
Dopo averli conosciuti su queste pagine nel corso del 2013 in occasione dell’uscita del debutto “Night Tales”, è decisamente rinfrancante constatare come il gruppo felsineo stia riuscendo – poco alla volta – nell’arduo tentativo di ritagliarsi un proprio spazio predefinito con la costruzione di un sound composito, in grado di sfuggire all’univoca classificazione degli esordi che li voleva figli diretti degli eighties e di molti degli ispiratori dell’epoca.
Ora più aperti alle inflessioni di un moderno sound dal taglio robusto e corposo, Mirko Greco e compagni accolgono citazioni che non evitano il paragone con i riferimenti più attuali di Alter Bridge, Black Stone Cherry e Shinedown, miscelati con il fragore del rock tradizionalista.
Il risultato è piuttosto interessante e da origine ad un album senza dubbio dotato di buone qualità, irrobustito da alcune idee di valore e da una prova dei singoli al riparo da incertezze.
Ma soprattutto, elevato nel proprio rango dalla presenza di un piccolo nucleo di tracce che – più di altre – ne nobilitano il pregio, mettendo in evidenza concreta un talento nell’elaborazione di melodie ed atmosfere crepuscolari-romantiche dall’approccio ben lontano dalla banalità.
Piacevoli quando si esprimono su toni prettamente hard rock (con le chitarre di Eugenio Bonifazi sempre in primo piano), i The Black Rain dimostrano di possedere qualcosa in “più” nella stesura delle ballate, elemento specifico in cui il quartetto sembra saper eccellere con particolare finezza.
Ne sono brillanti esempi le malinconiche e notturne “King Of Stones” e “Without Love”, episodio quest’ultimo che evoca sensazioni di cuori infranti ed amori perduti (con una linea che, chissà perché, in qualche istante sembra occhieggiare alla celebre “Bang Bang” di Sonny Bono) tanto da non sfigurare in un ipotetico confronto con le ballad più intense di Chris Isaak. Ancor più significativa è poi la splendida “Rock n’Roll Guy”, brano dai sapori “rurali” che, qualora scritto da Mark Tremonti e Myles Kennedy avrebbe ad oggi un posto nella heavy rotation di qualche radio in giro per il globo, in forza di una componente melodica che riesce nel difficilissimo tentativo di farsi accattivante ma in alcun modo troppo zuccherosa o stucchevole. Dotata cioè del trasporto tipico di un “lentaccio” di stampo hard rock, con un retrogusto – fiero ed orgoglioso – dalla radice quasi “southern”.
Grande, in tutti e tre gli episodi, l’interpretazione di Mirko Greco, un singer evidentemente ben al di sopra della media.
Come facile da intendere, i The Black Rain non sono però solo romanticismo ed immagini crepuscolari: il rock n’roll vibra piuttosto intenso e scalciante, innervando con costanza la gran parte delle canzoni incise per “Water Shape”. Il blues, condito dal rock sudista è un ingrediente che spicca con una buona costanza (“(S)He’s So Amazing”), mentre il classico hard sgommante dei cari eighties mostra i propri lineamenti sprezzanti e vigorosi in numerose occasioni (“Robert Johnson”, “Brand New Shoes”).
C’è poi la componente moderna, elemento utile nel completare un songwriting in via di maturazione che, se indirizzato come pare, potrà offrire in futuro grosse soddisfazioni alla band bolognese.
L’iniziale “Shadows”, la variegata “Mesmerize” e gli accordi stoner di “Times Of Troubles” accentuano il lato contemporaneo della proposta, corrispondendo le adeguate dosi di energia e sensazioni “modern” che non potranno che risultar gradite anche agli appassionati più recenti.
Un secondo passaggio sulla lunga distanza insomma, che convince ed evolve considerevolmente un progetto di buona qualità.
La strada è quella giusta…
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