Recensione: Waterside
Devo proprio scrivere qualche riga su chi sia Gary Hughes? Ma no, non serve, data la lunga carriera del cantante inglese e la sua eterna militanza nei Ten, che fondò a metà anni Novanta insieme a Vinny Burns dei Dare, band che ci ha regalato capolavori come Out of the Silence (1989) e Blood from Stone (1991).
Siamo, insomma, davanti a una delle voci più importanti del rock, sia nella declinazione più hard e pomposa dei Ten che in quella più melodica e AOR che è stata propria di tutti i dischi solisti di Gary Hughes, di cui questo Waterside è l’ottavo capitolo, che giunge a ben quindici anni di distanza dal predecessore Veritas.
Accanto a Hughes ci sono i fedeli compagni dei Ten Dann Rosingana (chitarra) e Darrel Treece-Birch (tastiere, batteria), oltre a turnisti di grande qualità, che garantiscono esecuzioni elegantissime e arrangiamenti perfettamente adatti alla penna di Hughes. Il risultato è un disco godibilissimo, ricco di melodie raffinate e atmosfere piacevolmente melanconiche e a tratti vagamente celtiche. A difettare è forse un pizzico di tiro, quasi che il tutto venisse suonato con il freno un poco tirato: ma non è sempre un limite, soprattutto alla luce del buon grado di variabilità di Waterside, che riesce a non replicare se stesso nel corso dei dieci brani che lo compongono
All At Once It Feels Like I Believe apre il disco con un pianoforte e una melodia che più Ten non potrebbe essere, rivelandosi una ballad anthemica certo meno pomposa di una (inarrivabile) We Rule the Night, ma che lì guarda, condendola con le atmosfere fantastiche dei due episodi di Once and Future King.
Electra- Glide richiama i Magnum, a ricordarci la lunga collaborazione di Gary Hughes con Bob Catley. Il pezzo è bello: un rock maturo di grande stile, arricchito da un assolo di qualità. Un gran groove sostiene, invece, Lay Down, che però alla lunga traballa sotto i colpi di un ritornello non esattamente degno di memoria.
Con The Runaway Damned ci spostiamo sui lidi dei Dare (li ho già lodati?) e delle loro fantasie celtiche, fatte di melodie decadenti che ci portano sulle costiere del nord inglese: il pezzo si spinge a toccare la teatralità di un Meat Loaf, riuscendo a non sfigurare nel confronto con l’istrionico cantante americano.
Screaming In The Half Light è una ballad pomposa, ricca di cori e tastiere, davvero troppo pop rock per le orecchie del vostro recensore, rovinate da decenni di chitarre distorte, qui davvero troppo assenti.
Per fortuna, la title-track e Video Show accelerano e mettono le mani ai distorsori, pur rimanendo fedeli alla formula melodic rock di Hughes: sono due buoni pezzi (soprattutto la ‘tenniana’ Video Show), benché paiano mancare di una spinta che li avrebbe resi più incisivi.
Save My Soul fa molto AOR dei primi anni Novanta: ha un ritornello che piacerebbe dal vivo, ma che su disco non lascia gran traccia di sé. Seduce Me, invece, finalmente dimostra che, quando si decide a spingere un poco, la band sa regalare momenti davvero coinvolgenti, pur sorretta da una scrittura non esattamente distintiva.
When Love Is Done è l’ennesimo mid-tempo, che offre a Gary Hughes una vetrina per il suo vocione melanconico, ma rimane sospesa senza incidere troppo.
Nel complesso, Waterside è un buon disco. Gli amanti del melodic rock lo avranno già ascoltato e digerito, mentre tutti gli altri lettori di True Metal faticheranno ad arrivarne alla fine, travolti da melodie troppo melliflue per le loro metalliche abitudini. A questo giro, Gary Hughes non tradisce i suoi fan; certo, neppure li stupisce: ma forse non è proprio quello che ci si aspetta da lui.