Recensione: We All Be Given
Dal Cile giunge, sofferto e potente, un pianto funereo. È quello dei Mourners Lament, appunto, alla prova del debut-album con “We All Be Given”.
Doom oscillante fra la forma classica e quella estrema del funeral, richiamante con energia il gothic metal di metà anni 90, tipo quello del maestoso “Icon” dei Paradise Lost, 1993.
Di quegli anni, però, è rimasta viva, sostanzialmente, solo la melodiosità e una spiccata propensione per vivere negli stati più depressi dell’animo umano. Poiché, senza troppi giri di parole, i Mourners Lament suonano doom, solo doom, nient’altro che doom. I brani, come si sovviene alla tipologia musicale di cui trattasi, sono temporalmente estesi, rispetto alla media della forma-canzone metal. L’uguaglianza doom = song lunghe è necessaria affinché si possa srotolare con la dovuta lentezza il filo conduttore di un disco di questa fattispecie stilistica. Così è anche per i Nostri che, con l’opener-track ‘As Solemn Pain Profaned’, partono in maniera, se così si può dire, leggera. Quasi che la canzone stessa, nella sua interezza, non sia altro che l’incipit dell’opera. Indispensabile per rallentare il moto degli atomi, delle molecole, delle meteore sì da accordarli al ritmo del cuore. Un cuore sofferente, dolente, privo di gioia; pompa del sistema circolatorio di un fisico bradicardico.
‘Slumbers’ si appoggia alle spalle come uno scialle depressivo spesso e pungente. I pesantissimi e lentissimi riff della chitarra, supportati dal cupo rombare di un basso tonante, spingono in giù il capo, spengono tutte le speranze di ottenere, dalla vita, briciole di felicità. Il roco growling di Cristian Ibañez, alternato a segmenti che richiamano, quasi, litanie liturgiche, appesantisce la consapevolezza di essere brevi e anonime stelle che nascono e muoiono in un arco di tempo ristretto, rispetto all’infinità dell’Universo. Allora, la tristezza diventa palpabile; entità solida che accompagna la miseria dell’Uomo attraverso le malinconiche, tetre vicissitudini della vita (‘Omnipresence’).
“We All Be Given” rappresenta la vittoria definitiva dell’assenza di gioia, il trionfo del dolore scaturito dalla consapevolezza di essere. Essere il nulla nel nulla. Il vuoto nel vuoto. L’Amore, unica salvezza a questa condizione mostruosa, è lontano. Distante anni luce. ‘Suffocating Hopes’ misura, lemme lemme, le grandezze siderali che separano i Mourners Lament dai più elementari sussulti della felicità. Sentimento fugace e fallace, questo. Ferocemente illusorio di stati della materia che non esistono, se non negli artificiali racconti a lieto fine. Le canzoni di “We All Be Given” attraversano il corpo, trapassano il cuore e arrivano all’anima per accoccolarsi su di essa. Dolcemente. Senza strappi, senza fretta, senza l’agitazione tipica delle emozioni nascenti quando, per esempio, sgorga il breve e crudele attimo dell’innamoramento.
Il combo di Viña del Mar riesce a trasmettere sentimenti con ricercata raffinatezza. È diretto, nell’estrinsecazione della nostalgia derivante dal voler rivivere emotivamente le situazioni del passato ammantandole di un velo di dolce tristezza e malinconia. Il peso delle palpitazioni porta quasi alle lacrime, in ‘This Storm…’. In questo, allora, i Mourners Lament son davvero eccezionali. Li limita un po’, tuttavia, una certa mancanza di soluzioni alternative all’imprinting di base. È come ascoltare e restare in attesa del capolavoro che, invece, non arriva.
La percezione chiara e decisa del loro turbamento, nondimeno, induce a pensare che, nelle loro corde, i cileni abbiano tutto il necessario per migliorare indefinitamente. Del resto, “We All Be Given” è un debut-album, con tutti i vizi e le pecche intrinseche che si porta con sé.
Daniele “dani66” D’Adamo