Recensione: We Are One
Il moniker U.D.O. porta con sé un’eredità ricchissima: da più di quarant’anni il cantante Udo Dirkschneider, inossidabile leggenda del Metal tedesco, continua imperterrito a diffondere il Verbo rilasciando regolarmente dischi in grado di ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, che l’Heavy Metal è più vivo che mai. Forte della sua caratteristica voce, ruvida e gioiosamente strafottente, ha impreziosito 10 dischi dei memorabili Accept e ben 17 album dei suoi U.D.O., l’ultimo dei quali ci apprestiamo ad analizzare. Possiamo evitare i rituali scaramantici dovuti al nefasto numero; gli anni di esperienza accumulati hanno permesso a molte band di sfornare ottimi dischi n°17, basti pensare al datato ma sempre godibile ‘Sting in the Tail’ dei connazionali Scorpions, al recente successo di ‘Power Up’ degli AC/DC o ai Judas Priest di ‘Redeemer of Souls’.
Facendo un passo indietro, gli U.D.O. ci hanno salutato nel 2018 con ‘Steelfactory’: la rovente colata di metallo fuso raffigurata nella copertina riassumeva bene il roccioso platter di 13 tracce e 58 minuti di durata. Ora, ‘We Are One’ dilata ulteriormente l’esperienza di ascolto, arrivando a 15 brani e superando la vetta dei 70 minuti. Mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore per un minutaggio così corposo richiede parecchia varietà nella proposta musicale. Che azione può essere messa in campo per raggiungere un simile obiettivo? Reclutare un’intera orchestra di 60 elementi, ovviamente, e nemmeno un’orchestra qualunque: parliamo del Corpo Bandistico Militare ufficiale delle Forze Armate tedesche, la Musikkorps der Bundeswehr, guidata dal Tenente Colonnello Christoph Scheibling. In verità non si tratta della prima collaborazione tra il “nostro” Colonnello Dirkschneider e la Musikkorps: già nel 2015 il corpo bandistico tedesco ha diviso con gli U.D.O. il palco del Wacken Open Air, dando così un primo impulso alla creazione di ‘We Are One’. La varietà nella proposta a cui accennavo viene garantita dalla partecipazione creativa, oltre che degli U.D.O. e di Christoph Scheibling, anche dei compositori militari Guido Rennert e Alexander Reuber nonché, per una parte del songwriting, dei due ex-Accept Stefan Kaufmann e Peter Baltes. Grazie a queste molteplici influenze e alla possibilità di sfruttamento di un’orchestra intera gli U.D.O., sempre rimanendo legati alla tradizione Heavy di stampo classico, introducono in ‘We Are One’ una ricerca di sonorità diverse rispetto al “metallo puro” a cui siamo abituati.
E’ legittimo per un musicista di lungo corso come Udo Dirkschneider cercare nuove vie di espressione artistica; la voglia di produrre qualcosa di alternativo, a ben guardare, si percepiva già in ‘Steelfactory’. Tanto per fare un paio di esempi: il brano ‘In the Heat of the Night’, facendo il verso al titolo del tristemente famoso brano Pop della cantante tedesca Sandra, anticipava le derive Hard Rock anni ‘80, quasi AOR, che incontreremo in ‘We Are One’, mentre la canzone ‘Blood On Fire’ introduceva a sorpresa un’interpretazione chitarristica del celeberrimo motivetto del tango ‘La Cumparsita’. E’ inoltre più facile del previsto ascoltare la tagliente voce di Udo calata in un contesto diviso tra arrangiamenti orchestrali e Metal, quando si ha già avuto modo di conoscere e apprezzare ‘LMO’, il disco del 2013 nato dalla collaborazione tra la Lingua Mortis Orchestra e i Rage: la graffiante voce di Peavy Wagner si adattava alla situazione senza difficoltà, garantendo un piacevole contrasto alle atmosfere sinfoniche.
L’aspetto che più colpisce di ‘We Are One’ è l’aria quasi cinematografica che si respira durante l’ascolto. Possiamo immaginare ad esempio la strumentale ‘Natural Forces’ inserita in un contesto western: il brano ricorda in prima battuta le immortali sigle di Ennio Morricone per i film di Sergio Leone, per poi evolversi in una marcia incalzante degna di accompagnare Clint Eastwood in una cavalcata nelle praterie. Nessuno, poi, si stupirebbe se le tracce n° 7 e 8 del disco, ‘Blackout’ e ‘Mother Earth’, diventassero parte integrante della colonna sonora di un nuovo capitolo della saga filmica di Terminator. Oltre ad essere una delle più riuscite doppiette del disco è impossibile ignorare i collegamenti che questi due titoli riportano alla memoria: scomodiamo gli Scorpions e il loro album del 1982, ‘Blackout’ per l’appunto, e il disco della consacrazione per gli olandesi Within Temptation, l’apprezzato ‘Mother Earth’ del 2000. Le due citazioni assicurano un appoggio per parlare di altri due aspetti di ‘We Are One’, iniziando dalle tematiche legate alla condizione della nostra Madre Terra. La copertina del disco raffigura in modo eloquente il pianeta connesso in molti punti da una fitta rete di collegamenti; l’album esplora le sfide che il nostro mondo sta affrontando a partire dal problema del clima e dell’inquinamento, come ci insegnano i testi di ‘Mother Earth’ e ‘Children of the World’, proseguendo con la trattazione delle grandi migrazioni di popoli attraverso l’apparentemente scanzonata ‘Here We Go Again’ o criticando certe posizioni della Destra politica, osservate attraverso la lente dello sfruttamento a fini commerciali delle risorse naturali nel brano di apertura ‘Pandemonium’.
La partecipazione dell’altra metà del cielo è assicurata dalla presenza di molti cori femminili e dalla bella voce, calda ed espressiva, della cantante Manuela Markewitz, a cui vengono affidate le liriche del brano ‘Blindfold (the Last Defender)’, marcia epica che vede la sola Musikkorps occuparsi della parte musicale. Ritroviamo la cantante, impegnata a duettare con un Udo più riflessivo e meno caustico del solito, nel brano ‘Neon Diamond’, uno degli episodi più smaccatamente anni ’80 di tutto il lotto. Poco fa mi riferivo a un secondo aspetto di questa produzione, oltre alle tematiche: accennare agli Scorpions del 1982 è un assist che mi concede di sottolineare i legami che avvicinano ‘We Are One’ alle produzioni Metal e Rock diffuse negli ultimi 20 anni del secolo scorso. ‘Neon Diamond’, iniziando dal titolo e proseguendo col patinato videoclip rintracciabile in rete, ci catapulta verso un’estetica anni ’80 confermata dall’andamento AOR e dalla vellutata presenza, nei primi minuti e in chiusura, di un sassofono e di arrangiamenti che non sfigurerebbero in un singolo pre-1995 di Bruce Springsteen.
Proseguendo con l’analisi del platter, il testo della ruvida ‘Rebel Town’, dopo un inizio strumentale che ricorda alla lontana ‘Change’ dei Tears For Fears, recita le parole “robocops” e “rebel yell”. Il lettore curioso avrà già capito dove voglio andare a parare: i rimandi al classico film di Paul Verhoeven Robocop e alla famosissima canzone di Billy Idol rivelano ulteriormente lo spettro degli anni ‘80 che si aggira per tutta la durata dell’album.
Rimanendo in zona anni ’80/’90 cito nuovamente il brano funky-oriented ‘Here We Go Again’, in cui Udo Dirkschneider si lancia inaspettatamente in un duetto vocale hip hop old-school, scortato da ritmi e riff che non sentivamo dai tempi degli Extreme e dei Living Colour.
La curiosità di poter vedere dal vivo gli U.D.O. e la Musikkorps è grande, vista la quantità di stili musicali affrontati in ‘We Are One’: non mancano infatti momenti corali che in sede live promettono attimi di forte coinvolgimento. La title-track abbonda di cori, battiti di mani a tempo di musica e ritornelli orecchiabili, elementi che andrebbero bene in un disco dei Freedom Call e che dimostrano il desiderio di fare della coralità un tratto distintivo del disco.
Ovviamente la voce di Udo si ritaglia uno spazio privilegiato ma la coesione tra band, orchestra e cori gioca un ruolo fondamentale; mi riferisco ad esempio alla traccia 12, ‘Beyond Gravity’, e all’imprevedibile dialogo tra cornamusa e chitarra elettrica in un brano che sa di fine serata in un pub scozzese. La canzone sembra essere il risultato di una lunga serie di birre scolate davanti a una partita del Sei Nazioni dopo una dura giornata di lavoro: il coro da stadio introdotto dalla leggiadra Manuela Markewitz promette di far faville di fronte a un pubblico.
‘We Are One’ tradisce anche la volontà di aggiornare il classico U.D.O. sound alle produzioni Heavy più recenti: le tracce ‘Love And Sin’, ‘Future Is The Reason Why’ e ‘Children of the World’ alternano robusti mid-tempo a cori epici e suggestioni fantasy, suonando a volte come il prodotto di un incrocio tra le marce metal-militaresche dei Sabaton, le atmosfere sognanti dei Nightwish e certi episodi dei bardi tedeschi Blind Guardian. Al lettore che in questo momento si sta chiedendo, in modo un po’ rustico, “va bene l’orchestra, ok per le novità, ma si scapoccia o no?” rispondo di sì: il brano ‘We Strike Back’ è pronto per lui. Si deve soltanto resistere ai pochi secondi di introduzione da Edizione Serale del TG prima di farsi travolgere dall’aggressività del brano, una mazzata che dal vivo minaccia di lasciare molte vittime sul campo di battaglia. La fine del lotto è affidata a ‘Beyond Good And Evil’, brano introdotto da una sinistra ninna nanna e da chitarre orientaleggianti, che rielabora e arricchisce la traccia introduttiva, ‘Pandemonium’, riprendendone il riff portante di chitarra e chiudendo così ad anello la struttura del disco.
‘We Are One’ è un’ulteriore prova dell’estrema duttilità che caratterizza i vari generi e sottogeneri del Metal, realtà musicale totalmente lontana dalle accuse di autoreferenzialità che spesso gli vengono rivolte. L’album può regalare molte soddisfazioni a chi è ben disposto verso le contaminazioni tra Heavy Metal e l’altra musica, anche se in ultima analisi con ‘We Are One’ si esce di poco fuori dal seminato. L’equilibrio tra la Musikkorps e il combo guidato da Udo Dirkschneider si concretizza in un collaudato tappeto sonoro che mescola suggestioni cinematografiche a sonorità hard’n’heavy anni ’80 e ’90. In altre parole, i due colonnelli Dirkschneider e Scheibling non osano più di tanto lanciarsi in ardite sperimentazioni, prediligendo un approccio corale e di facile appropriazione da parte dell’utente. La direzione scelta per questa collaborazione con l’orchestra inevitabilmente ammorbidisce i toni duri con cui gli U.D.O. sono soliti presentarsi a rapporto. ‘We Are One’ interrompe la loro recente serie di feroci produzioni discografiche, con buona pace di chi aspettava un’uscita in linea con gli ultimi ‘Steelhammer’, ‘Decadent’ e ‘Steelfactory’; i fans più duri e puri degli U.D.O. provino comunque a dare una chance all’album, troveranno in ogni caso pane per i loro denti affilati. A tutti gli altri, più o meno curiosi, auguro come sempre buon ascolto!