Recensione: We Are The Brokenhearted
Gruppo non proprio di primissimo piano, seppur protagonista per qualche stagione di una discreta ascesa in ambiti melodic rock, quello dei Beggars & Thieves è il tipico nome che può essere posto come esempio nel descrivere il paradigma di un grande trionfo promesso e poi inopportunamente fallito.
Nel contempo, un simbolo di quanto la rinascita d’interesse nei confronti di alcuni generi musicali sia sempre più consistente e tenace, consolidata dal continuo ripescaggio in un serbatoio di “vecchie” glorie, dall’importanza talvolta molto spiccata ed in altri casi – forse – un po’ più relativa.
Autore nel corso del 1990 di quello che spesso viene indicato come un piccolo hard rock classic, il complesso fondato dal singer Louie Merlino e dal chitarrista Ronnie Mancuso, dopo aver accarezzato iniziali sogni di gloria planetaria, ha trascorso gran parte della propria carriera nell’ombra, barcamenandosi ai margini delle grandi scene per sempre imprigionato nel gratificante ma circoscritto novero delle cult band.
Uno status mantenuto a lungo, a causa soprattutto di una discografia parecchio discontinua ed inframmezzata da ampi periodi di silenzio. A dar seguito all’eccellente esordio, infatti, sinora solo una coppia di album pubblicati nella seconda metà degli anni novanta per l’allora influente MTM. Dischi di buon valore e qualità, per quanto, mai più in grado di “doppiare” l’eccellenza del debutto e di garantire nuovo vigore alle possibilità d’affermazione del combo americano.
Ad interrompere una nuova e perdurante fase di letargo ed in un’epoca per l’appunto quasi “revivalistica” come quella attuale, non poteva mancare un tentativo targato Frontiers records, seguito dei timidi segnali di reunion forniti lo scorso anno con l’uscita dell’EP “Stone Alone” ed ulteriore rinforzo in un catalogo artisti di qualità eccelsa.
“We Are The Brokenhearted” è dunque storia recente, seppure animata da radici quanto mai antiche e suoni che poco o nulla hanno a che fare con la modernità. Ed è – inutile giocare troppo sulle attese che un nome fascinoso può suscitare – materiale che non consentirà nemmeno questa volta un balzo qualitativo capace di riallacciarsi in modo davvero efficace con i vertici assoluti raggiunti dal primo omonimo album.
Spesso piacevole, in alcuni casi leggermente ripetitivo e troppo rilassato ma comunque sempre sostenuto da un evidente talento, il disco si perde all’inseguimento d’atmosfere crepuscolari e prossime al malinconico, lasciando poco spazio all’esuberanza degli inizi.
Suoni e produzione si manifestano come elementi curati con estrema classe per i quali non v’è nulla da eccepire. È il songwriting, in effetti, ad apparire a tratti un po’ intorpidito, stanco e segnato da qualche ruga. Caratteri che, se da un lato contribuiscono nel conferire ai brani un alone cantautoriale che ne esalta l’animo più “vero”, dall’altro pagano dazio al semplice e basilare piacere d’ascolto, insistendo su soluzioni leggermente statiche e prive di reale coinvolgimento.
Poche strofe davvero memorabili, a vantaggio di uno stile vissuto che conferisce a “We Are The Brokenhearted” la sensazione di un lavoro sofferto e dal profilo quasi intimo, in cui riconoscere una sorta di ermetismo che talvolta riesce a trasmettere emozioni ma che, spesso, si manifesta come la ruvida corteccia di un tronco secolare. Ostica ed impenetrabile.
Un andamento discontinuo ed altalenante che attorciglia sprazzi di eccellente rock carico di passione viscerale, con passaggi al limite della noia. Una simbiosi che si rende chiara sin dai primi minuti del cd: l’iniziale “We Come Undone” (non a caso scelta come singolo) è una deliziosa melodia “grinta e cuore” che avvince al primo ascolto. La successiva “Oil & Water” invece, è un brano dall’aria trascinata che, pur se sorretto da contrappunti chitarristici di grande gusto, ha nel ritornello ripetuto e nella staticità della strofa centrale il motivo di numerosi sbadigli.
La voce di Merlino – calda ed espressiva, dalle sfumature sensualmente blues – rimane in ogni modo, un eccellente valore aggiunto alla riuscita dei pezzi. “Innocence” e la sinuosa e malinconica “Never Gonna See You Again”, hanno proprio nell’interpretazione una marcia in più.
La strada tuttavia, tende ancora a rendersi tortuosa ed insicura nel proseguimento del cd, imbattendosi in un’ulteriore binomio di brani che rende gravoso l’ascolto. “Seven Seconds” e “Midnight Blue”, come già accaduto in precedenza, profilano un elevato livello strumentale, non supportato però da un’adeguata contropartita emozionale. Episodi che sconfinano un po’ in un arido rock alternativo dai preoccupanti richiami alla produzione meno brillante dei Queensryche di metà-fine anni novanta.
Per somma fortuna, la presenza di canzoni come la scivolosa e notturna “Stranded” e come la conclusiva title track, risolleva sensibilmente le quotazioni di gradimento di un disco impregnato di sentori root, in cui un taglio ai confini con il rock acustico e la musica tipica dei cantautori country, costituiscono l’essenza di un pugno di tracce non proprio facili e di pronta accessibilità.
Nel complesso, un ritorno comunque più che dignitoso e di livello per i Beggars & Thieves.
“We Are The Brokenhearted” ben difficilmente brillerà tra le stelle più scintillanti di questo 2011 ormai in via di esaurimento. Tuttavia, lo stile compostivo di Merlino e Mancuso ha saputo sfornare anche per questo come back, qualcosa di interessante, seppur circoscritto ad un limitato numero di fruitori pronti a farsi affascinare da una dimensione rock poco appariscente e parecchio viscerale.
Le pecche ed i passaggi a vuoto non mancano. Ma la sostanza di un nucleo di artisti dotati di classe e talento è insomma, molto ben salvaguardata anche questa volta.
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Tracklist:
01. We Came Undone
02. Oil & Water
03. Innocence
04. Never Gonna See You Again
05. Beautiful Losers
06. Seven Seconds
07. Stranded
08. Wash Away
09. Midnight Blue
10. We Are The Brokenhearted
Line Up:
Louie Merlino – Voce
Ronnie Mancuso – Chitarre
Erik Gloege – Batteria
Blake Newman – Basso