Recensione: We Are The Fire

Di Manuel Gregorin - 18 Ottobre 2024 - 8:00
We Are The Fire
Band: Cleanbreak
Etichetta: Frontiers Music Srl
Genere: Hard Rock  Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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70

Tornano con il loro secondo capitolo i Cleanbreak, ennesima alleanza tra musicisti nata sotto l’ala della Frontiers. In questo caso ad unire le forze sono il talentuoso cantante James Durbin ed il chitarrista Mike Flyntz. Il primo dopo essere diventato una star del programma American Idols, è approdato alla corte dei Quiet Riot, oltre a presenziare in numerose collaborazioni con artisti quali Stevie Wonder, Don Was, Zakk Wylde e Mick Mars. Il secondo invece è noto per macinare da anni riff e assoli nelle file Riot V.
Dopo il debutto nel 2022 con Coming Home ecco arrivare il secondo album dal titolo We Are The Fire. Per la realizzazione di questo secondo capitolo, la coppia Durbin e Flyntz si è avvalsa dell’onnipresente Alessandro Del Vecchio (Edge of Forever, Hardline, Vanden Plas) al basso, tastiere e ai cori, e Nicholas Papapicco (Robin McAuley, Toby Hitchcock) alla batteria.

Si parte con Warrior’s Anthem, un titolo molto rappresentativo. Si tratta infatti di un tempo medio dall’incedere epico con la tipica struttura di un’inno. Delle rullate di stampo marziale scandiscono le prime battute della successiva Never Gone, dove si gioca attorno ad un ritornello orecchiabile costruito su di una ritmica cadenzata. Unbreakable strizza l’occhio ai primi Rainbow, mentre la vivace Can’t Lose Hope si presenta con un ritmo frizzante. Sulla sofferente Breathless invece fanno una timida comparsa delle puntate di sinfonico ad opera delle tastiere di Del Vecchio.

Una buona menzione va fatta per Deal With Yourself, che con la sua attitudine scoppiettante si candida come una degli episodi meglio riusciti di questo disco. Durbin e Flyntz evidentemente vogliano provare a toccare più sfaccettature nella loro proposta musicale, andando così, a giocare anche la carta del metal melodico. Ed ecco arrivare la volta di Bide Our Time, una traccia dai toni malinconici, con alcune partiture sinfoniche a far da contorno. Ancora metal melodico con Start To Breathe, in cui Flyntz è protagonista di un ottimo assolo di chitarra. Un suono di organo dal sapore anni 70 dà il via a Love Again, una ballad dal sapore uggioso. In conclusione i Cleanbreak volgono lo sguardo verso una certa corrente power, prima con la tittle track, poi con Resilience In Our Souls con Durbin e Flyntz impegnati a dialogare a suon di vocalizzi e riff di chitarra.

Un disco certamente apprezzabile ed abbastanza variegato, che spazia dall’anthem epico al melodic metal, passando per qualche traccia più vivace. Sul finale emerge un po’ di power metal senza dimenticare qualche puntata di sympho, mai troppo in evidenza a dir la verità. Una certa varietà che senz’altro offre più stratificazioni e sfumature all’album. Fuori discussione poi le qualità degli artisti coinvolti in quanto Durbin e Flyntz non hanno certo bisogno di presentazioni. Così come i musicisti che li accompagnano, nomi già noti ed apprezzati nel panorama musicale.

Non di rado però, durante l’ascolto, si ha la sensazione di aver tra le mani un mobile comprato all’Ikea. Un prodotto che per quanto di buona fattura e qualità, non riesce ad avere la particolarità ed il tocco personale di un mobile fatto a mano da un artigiano del legno
Infatti anche se le buone composizioni non mancano, We Are The Fire risulta un lavoro un po’ preimpostato. Come se Durbin e Flyntz avessero assemblato questo album seguendo delle istruzioni di fabbrica. Nessun difetto gravissimo, si intende, ma nemmeno un qualche particolare colpo da maestro che potrebbe far emergere il disco dalla marea di nuove uscite di questi ultimi periodi.

We Are The Fire forse soffre un po’ del difetto elementare di molti side project, ovvero la mancanza di quel giusto collante tra i vari membri, aggiunto magari ad una certa fretta di concludere il lavoro. Una formula da cui poi non emerge particolare passione. Tutti elementi che alle volte possono tarpare le ali anche laddove ci sono buone potenzialità.
Al di la di tutto, quarantaquattro minuti di buona musica. Non eccelsa e neanche innovativa, ma che può far sempre piacere ascoltare di tanto in tanto.

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