Recensione: We have Arrived
Eravamo nel 1985. Il Thrash Metal stava vorticosamente salendo verso il suo apice, sia sul fronte europeo che su quello oltre oceano.
In America era tutto un fermento, tra conferme ed esordi: gli Anthrax e gli Slayer pubblicavano i loro secondi lavori, rispettivamente ‘Spreading the Disease’ ed ‘Hell Awaits’, mentre uscivano i primi album di Megadeth (‘Killing Is My Business … and Business is Good’), Exodus (‘Bonded By Blood’), Possessed (‘Seven Churches’) ed Overkill (‘Feel the Fire’), tutti ‘testi scolastici’ utilizzati ancora oggi dagli ‘studenti’ del Metal.
Chi voleva emergere da questo mare di lava incandescente doveva tenere saldo il coltello tra i denti, non avere paura della gavetta e suonare il più possibile nei posti più incredibili per cercare di farsi notare dall’industria discografica, mettendo anche in circolazione quelle che allora erano le registrazioni indipendenti: cassette il più delle volte duplicate con gli stereo di casa e con le copertine disegnate una per una.
I Dark Angel erano tra quelli che non si arresero: nati nel 1981 come Shellshock, dopo alcuni cambi di formazione assunsero il monicker attuale e pubblicarono tre demo: ‘Gonna Burn’ del 1983, ‘Hell’s on Its Knees’ e ‘Live Demo ‘84’ entrambi del 1984.
Siglato un contratto con la Metal Storm Records registrarono il loro primo album, uscito nel marzo del 1985 e dal titolo ‘We Have Arrived’.
Il disco esprime un Thrash veloce, di matrice ‘Slayer’, che risente anche dell’Heavy Metal di Iron Maiden e Judas Priest. Questa caratteristica, unita ad una ricerca melodica cupa, genera un sound assassino e personale, pur se non feroce come quello, ad esempio, dei Possessed.
‘We Have Arrived’ ha tutte le caratteristiche del disco d’esordio e non è privo di pecche, tra le quali un suono sporco, frutto di una produzione un po’ superficiale, ed una voce, quella di Don Doty, buona ma ancora acerba. Ma, alla fine, anche quelli che sembrano dei difetti contribuiscono al suo ‘fascino’, andando ad aumentare il senso di oscurità e rabbia che lo avvolgono.
Le sette tracce che compongono l’album, della durata complessiva di poco superiore alla mezz’ora, sono tutte dotate di un buon tiro ‘cattivo come l’aglio’, frutto di una composizione semplice ma non banale.
L’apertura è affidato alla Title Track, che fa da monito: ‘siamo arrivati’. Il pezzo è abbastanza da manuale: un inizio affidato ad una ritmica incalzante sostenuta dal doppio pedale introduce una pesante accelerazione, poi si succedono strofe e refrain sintetici, intervallati da sfuriate musicali e da un assolo veloce.
‘Merciless Death’ inizia con un basso dalle reminiscenze ‘maideniane’, per poi trasformarsi in un brano violento con una buona ricerca solistica. Lo stesso brano sarà riproposto nel secondo album dei Dark Angel, la pietra miliare ‘Darkness Descends’ del 1986, in chiave ancora più aggressiva, quasi a chiarire la trasformazione musicale in corso.
Le mitragliate continuano con ‘Falling From the Sky’, marcate da strofe e refrain ridotti all’osso ed un cambio di tempo iperveloce. Da segnalare il buon uso del doppio pedale ad opera di Jack Schwartz, che, sostituito in seguito ed un po’ offuscato da quel demone di Gene Hoglan, su ‘We Have Arrived’ dette un più che valido contributo (in seguito suonò nel primo demo degli Holy Terror del 1986 ed in una loro compilation del 2015).
Con ‘Welcome To the Slaughter House’ i Dark Angel escono dai loro schemi con un brano ridondante, caratterizzato dalla ripetizione della sequenza strofa – stacco musicale, che perde un po’ d’incisività ma ci può stare. Non è comunque da considerarsi un riempitivo.
La ripresa è immediata con ‘No Tomorrow’, titolo inveritiero visto che il ‘domani’ dei Dark Angel è stato più che fulgido. Il brano ha una struttura alquanto semplice ma efficace, con un cambio di tempo intermedio cadenzato che conduce ad un assolo più Heavy che Thrash. Buona la ricerca della melodia.
Con ‘Hell’s On Its Kness’ il combo dimostra di non voler essere solo l’equivalente di una sparachiodi, sorprendendo con un pezzo acustico e melodico che anticipa il riff e la velocità. Anche in questo caso l’assolo evidenzia la vena Heavy dei musicisti.
La chiusura è affidata a ‘Vendetta’, brano potente, veloce e tragico.
‘We Have Arrived’ è un disco che può dirsi più che bello e di gran valore storico, testimonianza di un’epoca incredibile che non può mancare nella discografia di ogni Thrasher, giovane o veterano che sia. Un ottimo inizio per una band in grado d’imporsi sulla scena mondiale, così come dimostrò l’anno successivo con il già citato ‘Darkness Descends’. Assolutamente da ascoltare.