Recensione: We Spread Diseases

Di Fabio Vellata - 28 Giugno 2013 - 22:38
We Spread Diseases
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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76

Li conosciamo già e sappiamo quanto sia veemente e simpaticamente cialtrona la proposta di questi quattro selvaggi rockers scandinavi, ascoltati giusto un paio d’annetti or sono in occasione del divertentissimo album d’esordio, “Restless, Young, Hungry & Free”.

Il moniker continua ad essere singolare e dalla genesi quantomeno indecifrabile. Ed esattamente come nel 2011, anche la musica offerta dal quartetto di Falun seguita ed essere motivo di buon interesse per le orecchie di ogni affamato di energia a briglia sciolta, di quella che sappia coniugare il taglio divertito e chiassoso del punk n’roll di scuola scandinava (Gluecifer ed Hellacopters: due nomi già chiamati in causa in occasione del debutto), con le tirate impetuose e quadrate che prendono a piene mani dallo stile dei Motorhead più assatanati.
Il tutto, condito con una strafottenza ed un’attitudine dall’evidente ispirazione glam alla Billy Idol, in un ideale connubio tra tutto il “marciume” (in senso buono!) degli scantinati popolati da creste colorate e brutti ceffi pieni di tatuaggi, che vanno da Stoccolma ed arrivano sino a Los Angeles.

Molta “ignoranza” hard punk’n’roll di quella sana insomma, riversata in una serie di canzoni schiette come un rutto all’aroma di birra scura e veloci come uno schiaffone menato in una rissa da pub.
Non c’è molto da pensare in un album dei Vietcong Pornsurfers. La ricetta prescritta, infatti, è ancora una volta una sola: su il volume, zero paranoie ed headbanging obbligatorio, nulla più, nulla meno.

Per gli amanti del “fioretto” e gli appassionati di suoni colti e ricercati, l’idea di porsi all’ascolto di un album come “We Spread Diseases”, risulterà forse un po’ come recarsi vestiti in doppio petto presso un malfamato locale di periferia: una sgradevole sensazione di disagio.
Per le anime “semplici”, alla ricerca di un sano e disimpegnato divertimento a base di chiassose chitarre rotanti e voci sgraziate, l’opzione non potrà invece far altro che esercitare una buona dose d’irresistibile fascino. Il piacere di sentire il collo indolenzito per qualche ora, dopo aver scapocciato allegramente per una mezz’oretta al ritmo di brani incalzanti e cori avvinazzati, apparirà di certo irresistibile.
Tanto più quando la qualità della proposta, al netto di metafore scherzose e colorite, è davvero di buon livello quanto quella confezionata da questo divertente manipolo di terroristi scandinavi.

Molti pezzi gradevoli in una scaletta omogenea ed al solito compatta. Una corroborante “tirata” che non molla la presa per l’intera lunghezza del disco, scivolando senza requie nell’arco di ben dodici tracce dalla durata media attestata intorno ai due minuti e mezzo, tra le quali riconoscere qualche episodio di massimo godimento come le rombanti “Make You Hate”, “I Hate Your Band”, “Selfdestructive” e “ADD”.

I Vietcong Pornsurfers si confermano in sostanza, degni epigoni della tradizione hard più infuocata e scalciante di scuola scandinava, ad ulteriore dimostrazione di quanto riferito esattamente due anni fa.
Per mettere insieme un buon disco hard rock n’roll non servono poi molte elucubrazioni: basta lasciar fluire l’energia, liberare l’ormone ed alzare il volume!

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