Recensione: Weapons of Tomorrow
A tre anni di distanza dal più che valido ‘Woe to the Vanquished’ gli statunitensi Warbringer si riaffacciano prepotentemente sul mercato discografico con ‘Weapons of Tomorrow’, nuovo album pubblicato da Napalm Records e disponibile dal 24 aprile 2020.
La band, radicalmente rinnovata nel 2015, vede, a questo giro, solo il nuovo ingresso del bassista Chase Bryant al posto di Jesse Sanchez.
Per il resto ‘Weapons of Tomorrow’, rispetto al precedente lavoro, è un po’ più in tutto: più granitico, più feroce, più tecnico, ma anche più smodato, nonché di maggiore durata (circa dieci minuti in più) e di particolare struttura.
Insomma, la buona forma e l’affiatamento della band ha consentito a John Caroll e soci di alzare l’asticella, sfornando un lavoro maturo e massiccio, con picchi importanti e nessun calo.
Il sound è un Thrash caratterizzato da una ferocia marcatamente Old School, modello i primi Exodus di ‘Bonded by Blood’ per intenderci, ulteriormente rafforzata da inserti maligni più moderni, che pescano a piene mani dal Black e dal Death Metal. Per cui vengono affiancati, al violento ‘battere e percuotere’, ritmi sostenuti dai blast beat, chitarre demoniache suonate spasmodicamente ed una voce che urla direttamente dall’inferno.
A questo sommiamo una tecnica ad alto numero di ottani, assoli da brivido e di ampia enfasi ed una voce particolarmente adatta ad infondere collera e sofferenza.
L’effetto è dirompente ed abrasivo, in forza di un songwriting mai banale, articolato, con le sezioni ottimamente amalgamate, frutto di tanta tecnica, idee chiare e voglia di eccellere.
Gli Warbringer del 2020 sono una forza della natura, un tifone impazzito e lo dimostrano con tracce come l’iniziale ‘Firepower Kills’, veloce e furiosa nelle strofe e nel refrain, dinamica nell’interludio e pirotecnica nell’assolo, con un finale feroce e schietto.
‘The Black Hand Reaches Out’ mostra il lato tecnico del combo con la sua andatura sostenuta ma più controllata, il basso martellante ed il refrain coinvolgente.
‘Crushed Beneath the Tracks’ somma sezioni ferocemente cadenzate e pesanti ad altre smodate e furiose, con le chitarre ritmiche che segano in due. Personalmente non piace il fatto che sfumi … pazienza.
‘Defiance of Fate’ è il primo pezzo lungo del platter: oltre sette minuti di collerica malvagità e pesante sofferenza, scandite da un tempo cadenzato e spettrale. A parere di chi scrive questo è il primo picco dell’album.
Il combo cambia marcia con ‘Unraveling’, pestatissima e diretta è un fulmine che ti becca incauto sotto l’albero.
La lunga ‘Heart of Darkness’ è scandita da un simil-valzer spettrale, con un inserto nero tiratissimo e devastante. La doppia cassa entra nell’anima, mentre la melodia esasperante che nasce dal riff s’insinua nella mente. A metà il brano si trasforma in un Thrash collerico con un assolo pazzesco, per tornare poi all’andatura malinconica iniziale. E’ impossibile rimanere indifferenti, questo è un altro brano che lascia il segno: il secondo picco.
L’energia di ‘Power Unsurpassed’ sega le ossa, ‘Outer Reaches’ è rocambolesca mentre i cambi di tempo repentini di ‘Notre Dame (King of Fools)’, sono claustrofobici ed inquietanti. Questo brano è il terzo picco del platter.
Chiude ‘Glorious End’, epica ed adrenalinica, per chi va in battaglia.
Concludendo ‘Weapons of Tomorrow’ attacca al muro come una sparachiodi mani, ginocchia e piedi … non la testa: quella continua pericolosamente a seguire i ritmi violenti e forsennati che vengono scagliati fuori dall’opera per tutti i suoi cinquanta minuti e oltre.
Tra i migliori lavori Thrash, e non solo, degli ultimi tempi non può non entrare nelle nostre discografie. Ottimo Lavoro.