Recensione: Welcome
Accade sempre più raramente di stupirsi di qualcosa, in ambito hard’n’heavy, mentre si è alle prese con la lettura di una formazione di qualche nuova band. All’interno del booklet del Cd Welcome, per chi ha qualche capello bianco in testa – quando ancora presenti, of course… – è inevitabile non provare qualche sussulto nell’imbattersi, in una “botta” sola, in personaggi del calibro di Thomas Hand Chaste, Alex Scardavian e Claud Galley. Per il manipolo di die hard fan di cui sopra, per il quale la memoria nel 99% dei casi è più lunga delle estremità pilifere, non è necessario spiegare vita e miracoli dei musicisti coinvolti nel progetto Where The Sun Comes Down, per il resto del mondo basti sapere che Mr. Chaste aka Andrea Vianelli fu il bombardiere degli irripetibili Death SS storici, insieme con il bassista Claud Galley e questo potrebbe essere sufficiente per inquadrare i due musicisti, sodali della mitica accoppiata Sylvester/Chain. Ma non è finita qua, Thomas e Claud presero parte anche al progetto Paul Chain Violet Theatre e al successivo “Paul Chain” per poi approdare, il primo, in tempi più recenti a Sancta Sanctorum e Witchfield. Alexander Scardavian, attivo con gli Strange Here, fece parte anch’esso della “comune” sotto il moniker Paul Chain. Tanta roba, quindi, quella ricompresa nell’ultimo nato in casa Minotauro Records e avviluppato da una copertina in piena antitesi con i cliché tipici dell’heavy doom perché questo è quanto ci si attende da grossi calibri come i tre menzionati poc’anzi, sebbene Galley sia presente in veste di special guest. Ed infatti, a partire da Mister Lie, Welcome fornisce insane dosi di metallo catacombale d’altri tempi per 37 minuti di estasi color pece.
Riassaporare il doom che fu patrimonio di Death SS, Paul Chain Violet Theatre e “Paul Chain” equivale a fare un tuffo nel passato della musica tenebrosa dalla connotazione latina, indi pregna di storia e leggende scaturite dalle umide cantine della Nostra Italia, sempre più bistrattata ma invidiata dal mondo intero per l’atmosfera che sa regalare in ogni singola pietra del suo territorio, attraversato da avvenimenti epocali nei secoli.
Welcome parte con la mannaia di Scardavian che si impossessa delle note nere di Mister Lie e Chaste da par suo interpreta il brano, doomeggiante come si deve, con il piglio del lugubre nocchiero. Il leitmotiv dell’intero disco è l’intensità maligna, quella pregnante che sanno scrivere quelli che sul groppone hanno svariati decenni di frequentazione delle putride viscere dell’inferno fatto musica. A Snowin’ Day, dai rimandi Black Widow, rafforza il concetto espresso poc’anzi. Gli anni Settanta si impossessano di Voyage; quanto sia malata la performance vocale di Thomas Hand lo si scopre sciroppandosi Myself e ad aumentare il tonnellaggio horrorifico ci pensano lontane tastiere… Welcome è degna della soundtrack di un thriller movie del passato con la peculiarità di portare in seno delle parti in fonetico estratte da una performance di Sanctis Ghoram: un doveroso tributo alla memoria del compianto cantante dal passato glorioso da parte dei Where The Sun Comes Down. Ottimo e d’atmosfera il finale del pezzo. Il lamento di Chaste prende per mano i cinque minuti scarsi di Because we where Fools conducendo verso sentieri sinistri e si chiude baracca e burattini con maglio e mazzate varie dalla metà in poi del brano che fornisce il nome alla band, liquido e suadente – si fa per dire… – nei primi minuti.
Chaste & Co. hanno scritto il disco che ci si aspettava, gloria a loro. Cosa non così scontata nel momento in cui chi fa bene cosa sa fare bene oggidì pare suonare retrò se non “evolve” per forza in qualche modo…
Peccato che il libretto accompagnatorio, di otto pagine, non contenga i testi delle sette canzoni, così da capire quanto di autobiografico si annidi all’interno di brani con titoli intriganti quali Mister Lie, Myself e Because we where Fools, tanto per citarne solo tre di numero.
Stefano “Steven Rich” Ricetti