Recensione: Welcome My Last Chapter
Primo ed ultimo full-lenght degli svedesi Vinterland, Welcome My Last Chapter giace spesso ingiustamente sepolto sotto la fredda neve ammucchiata dal passare del tempo, dimenticato e lasciato all’oblio.
Nati come Grimoires nel lontano 1992, anno in cui il viking metal era ancora alla prima generazione e ad antichi fasti, i Vinterland registrarono due demo, mai pubblicati. Il loro terzo promo arrivò invece alle orecchie di Tomas Nyqvist che, un anno dopo, fece attraccare il drakkar della band ai porti della No Fashion Records. Nel novembre 1995 i Vinterland entrarono in studio, e nel Settembre 1996 Welcome My Last Charter vide la luce. Fu però l’unica creatura forgiata della triade svedese, di cui non si seppe più nulla, se non che si era sciolta per ragioni misteriose.
Pochi secondi di un glaciale arpeggio introduttivo e Our Dawn Of Glory si butta in un riff stupendamente black metal, che affonda le sue radici nella scuola primitiva e minimalista, splendidamente condito da possenti e spettacolari sfumature epiche e battagliere. Passaggi frenetici e martellanti, sostenuti da un doppio pedale incalzante, si alternano ad altri meno violenti. Il tutto al servizio di un cantato profondo e selvaggio, mai così maligno da perdere le tinte epiche, mai così possente da rinunciare ai tratti graffianti. I’m An Other In The Night ripropone le coordinate stilistiche dell’opener, destreggiandosi ancora una volta tra campi di tempo e fondendo i canoni del black metal puro con la scuola vichinga, in un amalgama elettrizzante ed evocativa. L’arpeggio di chitarra acustica che fa capolino è breve ma incisivo per l’atmosfera. Il pezzo, giunto alla senilità, nel finale rallenta e muore, mentre il vento che ulula tra i fiordi accompagna il rumore di una carrozza trainata da cavalli che passa, lasciando dietro di se, in balia del gelido vento del nord, una melodia di piano malinconica e solitaria. Siamo nel bel mezzo di So Far Beyond… (The Great Vastforest), unica strumentale dell’album. La successiva A Castle So Crystal Clear ha una genesi più lenta e trascinata dei primi pezzi, i quali invece facevano la loro comparsa con irruenza e tremenda violenza. Non mancano però improvvisi frenetici passaggi di batteria profondamente black prima scuola, e i cambi di ritmo accompagnati da uno stridulo cantato più straziante e malvagio che in precedenza. As I Behold The Dying Sun emerge tra il rumore della pioggia, con un arpeggio che muta in una lenta e cadenzata triste melodia accompagnata da una voce lancinante che resta sempre piuttosto in disparte rispetto alla parte strumentale. Ancora una volta però il destino del pezzo è quello di evolversi verso ritmi vertiginosi e serrati. Vinterskogen è una dama nascosta tra forti guerrieri: atipica e decisamente più melodica rispetto al resto dell’album, presenta parti cantate in pulito e un arpeggio di chitarra acustica presente per quasi tutta la durata del pezzo che si intreccia con le melodie creando un’atmosfera diversa e distante dal resto del lavoro. Still The Night Is Awake riporta Welcome My last Chapter alle alte velocità ed alla furia primordiale abbandonata con Vinterskogen, e lo fa con riff vertiginosi e una ritmica martellante come sempre. Gli stessi tratti che faranno da padroni anche in A Vinter Breeze, brano caratterizzato da un inizio di batteria cadenzato e incalzante. La conclusiva Wings of Sorrow, malvagia con i suoi riff taglienti, si trascina tra voci lontane cariche di eco e un tormentante cantato, fino a morire nella malinconia melodia di piano che sigilla l’album.
La sensazione è quella che la fugacità della vita dei Vinterland abbia fatto passare inosservato questo lavoro. È davvero un peccato, perchè Welcome My Last Charter è un ottimo esempio di comunione tra due essenze, quella black minimalista e quella che innalza e genera il viking. Siamo infatti di fronte ad un metal oscuro, dal sapore epico ma maligno, lontanissimo dalle ventate melodiche di gruppi come Thyrfing e Amorphis, vicino ad un impatto sonoro ed emotivo dei Naglfar di Vittra. Forse questo lavoro non è un manifesto di varietà a livello di composizione, ma il continuo alternare ritmi spediti e parti lente, i riff glaciali, gli arpeggi che fanno capolino e il bellissimo cantato malvagio ed epico, donano all’album una grande vena evocativa, a mio parere principale punto di forza del lavoro.
Consigliato agli amanti del viking ma anche a coloro che amano il black più minimalista e primitivo, e spesso evitano il genere per via della troppa vena melodica.
Tracklist:
1. Our Dawn Of Glory
2. I’m An Other In The Night
3. So Far Beyond… (The Great Vastforest)
4. A Castle So Crystal Clear
5. As I Behold The Dying Sun
6. Vinterskogen
7. Still The Night Is Awake
8. A Vinter Breeze
9. Wings Of Sorrow
Line up:
Pehr Larsson – 6 Strings Of Winter, Acoustic Guitars & Backing Vocals
Andreas Svensson – Black Abyssic Thunder
Forn Bragman – 6 Strings Of Knight, Acoustic Guitars, Bass & Vocals
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini