Recensione: Welcome The Dead
Gallesi ed incazzati. Queste due qualità descrivono già di per sé il sound di questa band d’oltremanica, ma se si scende più in profondità si possono trovare delle qualità non indifferenti, messe abilmente in campo da un quartetto conscio dei propri mezzi e privo della paura di usarli.
Anzitutto l’ambito in cui si muovono gli Hunted è quello di un heavy metal roccioso, figlio dei migliori Judas Priest e delle fasi più thrash degli Iced Earth, ma anche di una gioventù passata ad idolatrare i Nevermore. In mezzo a ciò, poi, vengono anche chiamate in causa delle strutture al limite con il prog metal, soprattutto per quanto riguarda la costruzione dei pezzi, basata su una serie di riff concatenati che si susseguono in una logica che poco ha a che vedere con il solito inseguirsi di ritornello-strofa-ritornello. Brani che hanno una quantità tale di idee e di variazioni che ad altri artisti sarebbero sufficienti per creare 5 album di un’ora ciascuno, dinamicità e potenza sono le qualità di cui Welcome The Dead si può fregiare, ma non dimentichiamo un’attenzione mirata alle melodie ed alla tecnica messa al servizio della canzone.
Se la titletrack si rivela essere solo un’introduzione all’album, la successiva The Silence Of Minds mette le cose in chiaro sin da subito: nessun prigioniero. Sorprende il ricorso a suoni pulitissimi, definiti e che mettono in luce tutti gli strumenti, soprattutto il sopraffino lavoro ritmico delle chitarre, qui padrone incontrastate di un po’ tutti i pezzi. Chosen, poi, ribadisce ancora una volta l’attaccamento ai già citati maestri Iced Earth e Nevermore, anche se questi ultimi vengono rivisti in ottiche meno cupe e con la semi-ballad Aria (In Memoriam) si scopre anche il lato meno aggressivo e più riflessivo degli Hunted, i quali sfornano un brano ricco di risentimento e drammaticità dedicato al fratello del chitarrista, scomparso prematuramente.
Impaled è certamente il pezzo migliore del disco, puro thrash/speed con tanto di blast beat in apertura e continui mutamenti d’umore che però mantengono ben fisso il mirino sul fattore impatto. La violenza sonora sprigionata anche dal cantato, graffiante sulle tonalità medio/basse e lacerante sugli acuti, ben si sposa con quella della sezione ritmica, sempre pronta a reggere i brani con vigore e tecnica. La successiva Scars è forse la canzone più lineare del lotto, con un fraseggio ripetuto quasi a simboleggiare una sorta di ritornello, mentre I Want Nothing e Shadows chiudono lo spazio dedicato alle composizioni originali proseguendo il cammino sonoro di brani che li hanno preceduti.
L’ultimo brano, poi, è una cover abbastanza fedele all’originale di The Heart Collector, da Dead Heart In A Dead World dei Nevermore, che non aggiunge e non toglie nulla al disco in sé.
Dopo aver sentito di cosa sono capaci, è inutile stare a tergiversare ulteriormente: gli Hunted hanno dato alla luce un lavoro che stupisce per potenza, integrità ed anche innovazione. La voglia di osare non manca certamente al quintetto gallese e pare che, pian piano, qualcuno se ne stia accorgendo, vista la grande quantità di consensi che stanno piovendo addosso agli autori di Welcome To The Dead. Se queste sono le premesse, il futuro del gruppo non potrà altro che essere roseo e pregno di grosse soddisfazioni.
Ora non resta che trovare un’etichetta disposta a prendere sotto la propria ala protettrice una giovane band di ottime speranze. L’augurio è che ciò avvenga il più presto possibile perché un contratto discografico sarebbe quanto di più meritato gli Hunted potrebbero ricevere.
Andrea Rodella
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Tracklist:
1 – Welcome The Dead
2 – The Silence Of Minds
3 – Chosen
4 – Aria (In Memoriam)
5 – The Incident
6 – Impaled
7 – Scars
8 – I Want Nothing
9 – Shadows
10 – The Heart Collector (Nevermore Cover)
Durata: 50:22 min.
Lineup:
Chris G. – Vocals
Steven Barberini – Guitar
John Letson – Bass
Matt “Animal” Thomas – Drums