Recensione: Welcome to the Theater
Forti di una formazione stabile – caso più unico che raro – fin dalla nascita della band, i felsinei Sweet Insanity giungono dopo un biennio di prove al traguardo del primo demo. Il lavoro si presenta fin da subito estremamente curato, con un artwork elegante e un ricco booklet interamente a colori completo e dettagliato. Segnali eloquenti dell’impegno e l’attenzione con cui l’intero disco è stato realizzato.
La tracklist di “Welcome to the Theater” si compone di cinque brani, ai quali vanno aggiunte un’intro orchestrale e un’outro recitata. Il tiro dei pezzi si mantiene sostanzialmente su coordinate heavy-rock, suscettibili di contaminazione progressive mai troppo esasperate dal punto di vista tecnico. Tenendosi saggiamente a debita distanza dai soliti nomi noti della scena prog, gli Sweet Insanity scelgono infatti un approccio compositivo che privilegia la fruibilità della canzone rispetto alla sperimentazione: indicativa è al riguardo anche la durata relativamente contenuta (almeno per gli standard progressive) dei singoli brani, mediamente prossima ai quattro primi.
Oscure e caliginose, le composizioni tengono sovente come principale punto di riferimento melodico i Metallica meno pesanti, soprattutto per quanto riguarda le linee vocali del singer Filippo Darchini, padrone di un timbro espressivo e ben controllato. La band dimostra di trovarsi pienamente a proprio agio nei passaggi più intimi e riflessivi – davvero ottima “Song of the Dust” – mentre non guasterebbe un pizzico di grinta in più al momento dell’attacco frontale. Soprattutto dal punto di vista ritmico, un surplus di aggressività non potrebbe che giovare al drumming già preciso e puntuale di Tommaso Deserti. Ma il discorso è da allargarsi a ogni contributo strumentale. “Born to Be Against”, per esempio, avrebbe le carte in regola per guadagnarsi la palma di miglior pezzo dell’album: il basso palpitante di Luca Betti apre la via al riffing solido e massiccio di Andrea Grillini, e il break centrale sembra preparare il campo per una tempesta che tuttavia non arriva. Di certo non si deve per forza tentare lo sfondamento in ogni occasione, cosa che probabilmente neppure è nelle intenzioni della band, ciò non toglie che un’ulteriore iniezione di potenza potrebbe dare una marcia in più a brani un po’ contratti come “In the Cage” o “Angel” (peraltro forte di uno stacco melodico centrale decisamente azzeccato). A margine del discorso musicale in senso stretto, nota di merito per il lavoro del fonico Enrico Pedrini, capace di confezionare un sound pulito e professionale, come di rado capita di trovare in un disco dimostrativo.
Dopo questo primo assaggio non si può dire che le premesse non siano interessanti: l’equilibrio compositivo e la consapevolezza delle proprie capacità consento alla band di trovare buone melodie senza perdersi in arzigogoli strumentali troppo laboriosi. Per uscire dall’underground è tuttavia necessaria un’ulteriore dose di malizia e la capacità di offrire qualcosa che altrove non si può trovare. In attesa di ulteriori riscontri, la serietà con cui è stato fatto questo primo passo lascia senza dubbio ben sperare.
Riccardo Angelini
Tracklist:
1. Intro – Taking Place (0:46)
2. Conflict (4:49)
3. In the Cage (4:18)
4. Angel (4:43)
5. Sons of the Dust (5:40)
6. Born to Be Against (3:41)
7. Outro – Just a Dream (0:38)