Recensione: Well Oiled
Nella giostra dei ritorni di fiamma, che riporta alla luce i fasti di molte correnti del rock’n’roll anni ’70 e ’80, trovano posto anche i Quireboys, riunitisi dopo la separazione del 1993 e rilanciati dall’ondata glam che sta investendo i lidi del panorama musicale odierno.
Tipica band da pub, i Queerboys (come si chiamarono fino al 1987) non riuscirono mai a raggiungere lo status della band cui forse maggiormente anelavano, ovvero i Motley Crue. In effetti non basta agli inglesi suonare un rock’n’blues d’impatto, né la voce al vetriolo di Spike, per essere star del calibro dei succitati colleghi: è sicuramente vero che i nostri oggi sono smaliziati e ben consapevoli di cosa il mercato venda meglio, quindi si orientano verso un sound ultra-classico (dimenticatevi le produzioni linde e pinte di The Darkness e compagnia bella) che molto deve, anche in fatto di composizione, agli Ac/Dc e ai Kiss, e se da una parte è vero che certe soluzioni compositive sono pressoché inesauribili, dall’altra risulta stancante scrivere la stessa canzone due volte. Ecco che allora la opener di “Well Oiled”, che dovrebbe avere il ruolo determinante di catturare o far fuggire l’ascoltatore, è “Good To See You”, primo singolo di supporto all’album, e classico inno “sesso, alcool e r’n’r” come molti altri nel lotto. “The Finer Stuff” è tipicamente Ac/Dc e persino Griffin sembra mascherarsi da Angus Young nel modo di suonare la chitarra, mentre “Lorraine Lorraine” torna ad essere la classica blues song da piano bar, con tanto di armonica annessa. Arriva anche la ballad, “Too Familiar”, non all’altezza delle precedenti, ma in grado di evidenziare bene il feeling della voce di Spike, spezzata da whisky e fumo secondo la lezione di Lemmy e soci. Il tentativo verrà ripetuto più avanti con l’altra ballad del platter, “Sweet As The Rain”, con gli stessi effetti, anche se qui l’organo di Keith Weir si fa più presente e portante.
“You’ve Got A Nerve”, “What’s Your Name” e, soprattutto, “The Last Fence” (l’unico up-tempo presente) riprendono le sgroppate rock dei primi brani, non aggiungendo nulla a quanto detto, e rischiando di annoiare chi ha avuto forza a sufficienza per superare le prime tre della scaletta.
Menzione a sé forse va fatta per la conclusiva “Black Mariah”, che taglia i ponti con le altre song e ritorna alla vecchia tradizione Queerboys, con un lungo pezzo d’atmosfera, con tanto di female backing vocals.
Concludendo, credo che questa sia da apprezzare maggiormente come live-band, divertente e scanzonata sul palco quanto anonima e derivativa da disco, soprattutto se si considera una produzione nostalgica che si è risolta in un ovattamento generale dei suoni.
Tracklist:
- Good To See Ya
- The Finer Stuff
- Lorraine, Lorraine
- Too Familiar
- You’ve Got A Nerve
- What’s Your Name?
- Sweet As The Rain
- The Last Fence
- Black Mariah