Recensione: What Demons Do To Saints
Beneath the Sky, What Demons do to Saints, Metalcore. Che altro dire? Se questa recensione non avesse l’obbligo morale di fornire qualche informazione dettagliata sull’opera in esame potrei anche smettere di scrivere qui, sicuro di aver già inquadrato alla perfezione la proposta del gruppo di Cincinnati, Ohio. Ci ritroviamo infatti davanti ad un disco che di originale e diverso ha davvero poco, proponendo la solita mistura di ritmiche arrabbiate mischiate a cori melodici di indubbio gusto e breakdown cadenzati. Aggiungete a tutto ciò qualche arrangiamento di tastiere in modo da creare un po’ di atmosfera ed avrete il quadro completo.
Il disco si apre con una buona mazzata iniziale: Goodfellas e For Each Remembered
Name infatti si impongono come uptempo di sicuro impatto ed assolutamente adatti a rompere il ghiaccio in un disco che, non potendo contare su un tasso tecnico altissimo da parte dei musicisti, ha bisogno di belle canzoni per imporsi. Fin da subito l’elemento di maggiore originalità che salta all’orecchio è la voce del cantante
Joey Nelson, il quale si impegna in uno screaming diabolico ed acuto il quale, più che richiamare il death metal melodico a cui oggi tanti vocalist si ispirano, si accoda ad una tradizione caratterizzata da molti meno compromessi verso l’ascoltabilità, cogliendo l’eredità di gente come Jacob Bennon (Converge) o
Jeff Walker (Carcass). A parte questo tuttavia si fatica a trovare elementi caratteristici per questo gruppo e, andandoli a cercare, il massimo che si scopre è un’attitudine al riffing davvero monocorde, con soluzioni, se non al limite dell’autoplagio, comunque talmente simili da far dubitare della vena creativa dei musicisti… confrontate ad esempio il riff iniziale di
A Grave Mistake con quello del ponte di 7861, per poi concentrarvi sullo stacco centrale di
Our Last Road ed infine giungere alla strofa di The Reason… noterete come accusare di scarsa ispirazione i
Beneath the Sky di questo platter non sia commettere un’eresia. Tentando di ignorare il guitar working, che nonostante tutto ha il pregio di prodursi in breakdown azzeccati che risultano sempre utili alle canzoni e non piuttosto inseriti solo in rispetto agli stilemi di genere, si nota come ancora una volta sia il cantato a giungere per salvare la baracca: i ritornelli infatti si sviluppano in aperture melodiche che riescono a risultare davvero cantabili e coerenti nel contesto, cosa assolutamente non scontata in un
genere che unisce programmaticamente due estremi facendoli convivere nelle medesime canzoni. Ancora una volta si nota come dopo un po’ le soluzioni vadano a ripetersi, ma alla fine si riesce a passare sopra a questo inconveniente proprio in virtù della bellezza di queste.
Ci troviamo dunque davanti ad un disco nel quale il famoso “tasso di innovazione” è pari a zero. I
Beneath the Sky si ispirano alla tradizione -core senza nemmeno nascondere la cosa, con Caliban, Killswitch Engage e compagnia come riferimenti fissi, sebbene riescano a portare a casa il risultato in virtù di una produzione assolutamente azzeccata e di un vocalist che, ispirandosi a gruppi di stampo differente, apporta elementi nuovi alla mistura riuscendo a tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore. Aggiungendo a tutto ciò il fatto che le canzoni, nonostante la loro ripetitività, sono ben realizzate, arrangiate e portano in dote cori cantabilissimi, non si può fare a meno che promuovere questa band, sottolineando tuttavia come
What Demons do to Saints sia un disco che può risultare molto godibile per gli amanti del genere, mentre altri tipi di ascoltatori sarebbe meglio che si rivolgessero altrove.
Davide “Ellanimbor” Iori
Tracklist:
1- Goodfellas
2- For each remembered name
3- A grave mistake
4- Last call
5- 7861
6- Now the times have changed
7- Our last road
8- The reason
9- Being in a coma is hell carried on
10- Falling in love with cold hands
11- The glamour of corruption