Recensione: What Kind Of Creature Am I
I Toehider sono un gruppo che fa dell’inaspettato il suo quid fondante. Si tratta di una one man band nata dalla fantasia del nerd (e fan di cartoon anni Ottanta) Mike Mills, ospite in The Theory of Everything degli Ayreon, che in sede live sfoggia chitarre dal numero improbabile di corde e si avvale della presenza di Amy Cambell al basso, Ricky Evensand dietro le pelli e Lachlan Barclay alla chitarra. Australiani come Vauxdvihl, Unitopia e Ne Obliviscaris, dopo un primo EP nel 2008, il mastermind decide di evitare (a suo dire) la “sindrome da seconda uscita” rilasciando 12 EP in 12 mesi continuativi (un po’ come hanno fatto di recente i Protest the Hero). Già di suo questa soluzione dà un’idea della megalomania di Mills, che per il progetto si è avvalso dei disegni dell’illustratore Andrew Saltmarsh, autore di artwork e fumetto annesso. Dopo tanto lavoro, è la volta di una lunga pausa (un anno e mezzo circa), poi nel 2011 esce il primo, modesto, studio album (To Hide Her, titolo che gioca con il curioso moniker). È nel 2014 che i Toehider fanno il botto, con un platter che definire geniale è riduttivo.
What Kind Of Creature Am I è stato prodotto attraverso un’iniziativa di crowd funding che ha visto i fan ben reattivi. I cinquanta minuti che compongono il CD sono, a ragion veduta, oro colato, un mix azzardato ma (con)vincente di progressive metal, progressive rock, hard rock, djent e avantgarde. I nomi che vengono in mente subito sono Devin Townsend (con il quale hanno fatto un tour) e i Diablo Swing Orchestra: in Rete il riferimento più inflazionato è quello ai Queen, noi evitiamo di spingerci tanto oltre. La copertina in questo senso è tutto un programma, sembra di vederne una dei Mechanical Poet con un tocco in più di horror grottesco.
E dire che i primi secondi di musica sembrano deludenti, un po’ come l’avvio di Train of Thought dei DT. In realtà l’opener ha un tiro melodico invidiabile, si tratta di un brano graffiante, con ottime linee di basso (a rompere il muro amichevolmente abrasivo delle chitarre) e la voce stellare di Mike Mills. Il refrain ricorda i migliori Seventh Wonder e Circus Maximus. La parte strumentale nella seconda parte è godibilissima.
“Whatever Makes You Feel Superior” è un hit da fare invidia a Steve Vai, di cui si sentono chiare e distinte le influenze. Basterebbero i primi secondi sornioni in crescendo per dare un’idea della follia compositiva dell’australiano. Mills si supera in un’interpretazione difficilmente coverizzabile con efficacia. Nel prosieguo il pezzo si apre a sonorità rocciose quasi djent dimostrandosi esigente in termini d’ascolto ma arricchente. Da cardiopalmo la seguente “The Thing With Me”: a metà del secondo minuto prende il sopravvento un folle cambio di tempo, atmosfere circensi e insane catapultano in un universo parallelo dove le leggi della fisica non esistono. Un geniale connubio tra prog. metal e prog. rock, che non ha niente da invidiare a Gentle Giant, TFK, Beardfish, e Periphery.
La title-track attacca come A nightmare to remember dei già citati DT, poi subentrano delle ritmiche in levare davvero contagiose e ficcanti, che sfociano in un bridge in doppia casa e un ritornello orrorifico. Un altro pezzo impegnativo, come “Whatever Makes You Feel Superior”, a rafforzare l’idea di una band che punta tutto sull’estro, senza timori nell’osare qualcosa in più. Ma serve anche un sano equilibrio, così, dopo gli azzardi, ecco un brano più rockeggiante e melodico “Smash It Out”, con un main riff catchy e vocine di sottofondo che verrebbero da abbinare ai Minions di Despicable me. Sembra di star ascoltando un altro album con “Spoilt For Choice”, canonica ballad distensiva e invece la voce di Mills ci dice che i Toehider sono capaci anche di questo, ossia passare da sonorità atipiche e townsendiane al pop. “Woha” è un altro pezzo vincente, potrebbe essere stato scritto per Mika, trasuda positività e melodia. Toni mesti, invece all’avvio di “Under The Future, We Bury The Past”, un Mills istrionico, testi smagati, à la Pain of Salvation. A metà l’assolo di chitarra accompagnata da un hammond settantiano ci fa immergere nella decade d’oro del rock. Come non bastasse nel finale troviamo linee in falsetto ambiziose, degne dei colleghi canadesi Incura.
L’album si chiude con “Meet The Sloth” e “Geese Lycan”. “Meet The Sloth” è il brano più lungo in scaletta, con i suoi dodici minuti propone continui cambi di atmosfera, alcuni da brividi (min 5:15). Tutto resta su lidi prog. rock fino all’esplosione e acuto kiskiano finali. “Geese Lycan” non è altro che un divertissement (fuori luogo?) in calce all’album, come già per “The last baron” dei Mastodon di Crack The Skye e “Contaminate Me” dei Leprous di Coal.
In definitiva 50 minuti di musica imperdibile, l’album ha una longevità infinita e a ogni ascolto svela nuove sfumature e finezze: il continente nuovissimo non smette di stupire. L’album, inoltre, fa sperare in un futuro roseo per la musica progressive e ne sottolinea l’afflato universale. Mills ha capito che una delle possibili vie per rinnovare il genere sta nel puntare sullo svecchiamento delle line vocali ed è riuscito nel suo intento. Non vediamo l’ora si sentire il cantante sul nuovo disco targato Ayreon!
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)