Recensione: What The Dead Man Say
I Trivium sono una di quelle band che nel corso degli anni si sono beccate ogni tipo di critica, odiate da tutti, ma che ad oggi sono ancora vive, vegete e con una forte fanbase. Come sia possibile dividere gli amanti di un genere in modo così netto è difficile da dirsi, però possiamo provarci.
La storia discografica della band di Orlando è fatta di tanti momenti diversi, ma quello che i puristi del metalcore non le hanno mai perdonato è la decisione di puntare a un pubblico più ampio con scelte melodiche a bilanciare l’aggressività del genere. Ma è anche vero la band ha sempre mostrato un gusto per gli arrangiamenti più “soft” – tornando alle origini pensiamo a pezzi come ‘Dying In Your Arms’ e ‘And Sadness Will Sear’; inoltre nel corso degli anni ha dimostrato grande professionalità dal punto di vista tecnico ed è riuscita a creare un sound iconico proprio sulle stesse caratteristiche che le vengono rimproverate.
Quindi arrivati nel 2020, a quasi 20 anni di carriera della band, la critica sembra un po’ sterile e i detrattori dovrebbero semplicemente accettare il fatto che non ci può piacere tutto ed evidentemente i Trivium non fanno per loro.
Questo “What The Dead Man Say”, uscito nell’aprile 2020, è il nono album in studio della band. Chi scrive aveva apprezzato moltissimo il precedente “The Sin And The Sentence”, che aveva un sound in qualche modo maturo ed equilibrato; quindi le aspettative erano un po’ alte. Purtroppo, o per fortuna, questo è semplicemente un disco dei Trivium.
Ritorniamo al sound iconico di cui prima: ecco, stiamo parlando proprio di questo. Dopo l’intro strumentale ‘IX’ ascoltiamo l’omonimo singolo, che è uno stereotipo rappresentativo della band: alternanza di growl e cantato, base potente con ritornello catchy, intermezzo aggressivo. ‘Catastrophist’ e ‘Sickness Unto You’ sono belle e intense: ci ricordano che la band è capace di creare pezzi lunghi e complessi senza mai annoiare; pensando però all’epicità di una ‘Shogun’ queste non reggono il confronto. ‘Amongst The Shadows & The Stones’ e ‘Bending The Arc To Fear’ sono i pezzi più pesanti e tecnici, e mettono in luce l’anima metalcore del gruppo, quella che difficilmente può sollevare critiche. Al contrario, ‘Bleed Into Me’ e ‘Scattering The Ashes’ sono di quei brani più leggeri, anche questi belli ma molto simili ad altri dello stesso tipo in vecchi album.
Una nota di plauso va sicuramente alla performance di Matt Heafy, che soprattutto nelle parti di cantato classico ci offre una voce chiara e bilanciata – se così si può dire – che in alcuni momenti gioca un ruolo fondamentale per aggiungere intensità alle canzoni.
“What The Dead Man Say” si merita qualcosa in più della sufficienza ma delude un po’. Perché è un disco ben fatto, i brani sono coinvolgenti e ritroviamo tutto quello che i fan dei Trivium amano della loro musica. Tuttavia manca qualcosa, non è un’opera che si distingue particolarmente e che rimane impressa, è come se stavolta la band si fosse fermata nella propria comfort zone senza provare ad andare oltre.