Recensione: When a Shadow is forced into the Light
Ostico doversi rapportare a questo nuovo album degli Swallow the Sun cercando di mantenere un approccio distaccato. Difficile parlare della morte di Aleah Starbridge, compagna e musa di Juha Raivio senza cadere nello scontato o nel banale. Di fatto però il vuoto lasciato dall’artista sudafricana nel cuore del mastermind dei finlandesi è l’unico punto da cui possiamo partire per affrontare questa recensione. In che modo le emozioni si sono tradotte in musica?
C’è da dire che l’album preceduto da un Ep, “Lumina aurea”, ovvero una traccia da 13 minuti in cui, viene da dire, le emozioni si sono tradotte fin troppo. Senza troppi giri di parole, chi scrive ammette di avere non pochi problemi ad esprimersi su “Lumina aurea” perché dall’ascolto ne ha tratto una tale sensazione di inquietudine e disagio da non essere ancora in grado, dopo un mese, di concentrarsi sulla musica in sé.
Decisamente più fruibile (a livello di emozioni e sensazioni) l’album fatto e finito in uscita oggidì: “”When a Shadow is forced into the Light”. Un album che, oltre a portare in musica i tormenti di Raivio, stavolta più che mai reali e per nulla dettati dall’estetica dark-doom degli Swallow the Sun, ha anche il difficile compito di fare da seguito all’immane (in qualsiasi possibile senso) “Songs from the North”.
Detto questo, “When a Shadow is forced into the Light” colpisce fin dall’inizio, fino dal primo passaggio di tastiere. Si sente che c’è qualcosa di diverso. A tutta prima, la opener, che è pure la title-track, pare uno strano incontro tra un gruppo doom e i Dead can dance. E questa è una sensazione che riemerge a tratti anche in altre parti del disco, vedi soprattutto “Into the black Earth”. E, se ci pensate, “When a Shadow is forced into the Light” è un titolo che sa molto di Dead can dance.
Al di là di questo diffuso sentore, la linea musicale di questa nuova prova discografica dei finnici rimane abbastanza fedelmente ancorato al solco di quanto fatto nelle prime due parti del sopracitato “Songs from the North”. Ma anche in questo caso c’è qualcosa di diverso – se escludiamo Firelies, che effettivamente avrebbe potuto figurare nel disco precedente senza lasciare spiazzati. Perché in effetti i brani di questo disco sono permeati da un’inquietudine diversa, più profonda e più profonda reale, per cui avrebbero “stonato” in qualsiasi altro disco dei nostri.
E molte altre piccole cose sono diverse. In primis, vi è uno strano senso di non finito, di approssimativo. È come se gli Swallow the Sun avessero voluto evitare il consueto labor limae in fase di produzione (elemento che poi appiattisce buona parte delle produzioni di metal melodico made-among-the-thousand-lakes) per ottenere un effetto più diretto. Ed è uno dei pregi di questo disco perché pezzi come “The Crimson Crown”, “Stone Wings” o “Never Left”, colpiscono dritte al cuore e ricordano, in qualche strana maniera, la stessa inquietudine che si respirava, strano a dirlo, in “Alternative 4” degli Anathema.
Anathema, Dead can dance, sarebbe lecito aspettarsi una svolta netta nel sound dei nostri in questo album. Ma ribadiamo che non è così. Una cosa che però si nota è il netto passaggio in secondo piano del growl. Lo si trova dovunque, sia chiaro, ma sembra essere sempre un po’ sommerso dalla musica, come se gli Swallow the Sun volessero smussare il loro lato più estremo. “When a Shadow is forced into the Light” manca tuttavia anche di melodie estremamente catchy che hanno caratterizzato alcuni pezzi passati della band. Il risultato è un disco sobrio, compatto ed equilibrato, non ruffiano e privo di contrasti violenti. Non un disco che abbia bisogno di ripetuti ascolti per essere interiorizzato (come pure in molti hanno già scritto) ma nemmeno un album in cui dopo tre giri si ricorda la maggior parte delle melodie.
Il destino ci mette di fronte a dure realtà, avvenimenti che difficilmente riescono a regalare soddisfazioni e sorrisi, oltre il muro degli ostacoli ritroviamo la musica; quella fortunatamente non ci lascia mai. Queste parole che riassumevano alla perfezione la recensione dei Trees of Eternity possono essere il punto di partenza per la valutazione di “When a Shadow is forced into the Light”. Un disco che forse non è il più bello degli Swallow the Sun. Un disco che per certo non raggiunge i livelli del predecessore. Ma senza dubbio si tratta dell’episodio più veracemente emozionale nella produzione del gruppo finlandese. Un disco pieno di malinconica gentilezza che, pur non snaturando la natura dello stile degli Swallow the Sun riflette lo stato d’animo di chi lo ha composto. In ultimo, un disco che conquista per l’animo e non tanto per la forma.