Recensione: When Good Men Go to War

Di Luca Montini - 14 Agosto 2021 - 12:59
When Good Men Go to War
Band: Vexillum
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2021
Nazione:
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80

A sei anni di distanza da quella piccola perla che fu “Unum” (2015), concept album e metal opera corale con ospiti come Hansi Kürsch (Blind Guardian), Chris Bay (Freedom Call), Maxi Nil (Visions of Atlantia) e Mark Boals (ex-Malmsteen), nel mese di aprile di questo 2021 sono finalmente tornati sulle scene i power-folk metaller toscani Vexillum con il quarto album in discografia “When Good Men Go To War”. Un ritorno in grande stile, che riprende idealmente il percorso dove la band si era fermata con il precedente “The Bivouac” (2012) con un nuovo disco solido, tirato e forte delle melodie folk che caratterizzano da sempre la band italiana, tra atmosfere medievaleggianti, cori, flauti e cornamuse che si alternano a riff granitici, solos tecnici e blast beat. Stessa lineup del precedente full-length, che vede Dario Vallesi alla voce, Michele Gasparri e Francesco Caprina alle chitarre, Francesco Ferraro al basso ed Efisio Pregio alla batteria.

Vexillum 2021

A marcare ulteriormente la continuità con il secondo lavoro, un’opener complessa quanto coraggiosa: “Enlight The Bivouac” con i suoi oltre dieci minuti che ci accompagna nelle sonorità della band toscana, tra momenti super tirati, parti più aggraziate e passaggi epici come lo stacco a tre quarti. La band è in buono stato di forma, la produzione è asciutta ed efficace, riuscendo a ben distribuire le frequenze nonostante l’ampio campionario di strumenti utilizzati. I ragazzi sono cresciuti sia dal punto di vista tecnico che compositivo, fatto testimoniato ad esempio dall’ottima prova di Dario alla voce che dimostra un grande controllo, o dal drumming di Efisio che accompagna puntualmente le scorribande più aggressive, gli stacchi marziali così come i momenti più pacati e sognanti, nel cerchio magico dei druidi. Il lavoro può vantare i cori da cantare a squarciagola sotto il palco che da sempre caratterizzano la band, con i ritornelli che spesso si stagliano su una doppia cassa furibonda come in un’epica cavalcata attraverso le valli di mondi dimenticati. Ottimo anche il guitar work, con passaggi come nelle chitarre armonizzate di “The Tale of the Three Hawks” che ricordano gli Helloween, o melodie più orientate agli accompagnamenti lead dei Blind Guardian.  Tra gli highlights del disco anche l’anthemica “Sons of a Wolf”, “The Deep Before the Dive” con un intermezzo acustico davvero avvolgente, “Flaming Bangpipes”, la cadenzata “Volountary Slaves Army”… non è facile scegliere, in un disco appassionante che ti accompagna in un viaggio dal primo all’ultimo brano. A tal proposito, il disco si chiude con la branduardesca e sognante ballad finale “Quel che volevo”. Un preziosissimo valore aggiunto a quest’album che alza ulteriormente l’asticella della qualità, per una band che, lo ricordiamo, una decina di anni fa si è cimentata con una cover metallosa de “Il Giocatore di Biliardo”.

I Vexillum dimostrano di essere ancora pronti ad infiammare i palchi, in una scena europea folk metal forse oggi un po’ satura, nella quale i nostri riescono a spiccare per l’ottima capacità di dosare elementi folk, melodie vincenti e componenti ritmiche e chitarristiche che costituiscono decise virate verso il power che ha portato il nostro paese all’apice del panorama metal.  Salutiamo dunque il ritorno dei toscani e del loro “When Good Men Go to War”: hoist the Vexillum!

Luca “Montsteen” Montini

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