Recensione: When Northmen Die
Crom, o meglio, il teutonico Walter Grosse, ex chitarrista dei Dark Fortress, è il nostro uomo dietro questa one man band. Con “When Northmen Die” i Crom giungono al terzo album in studio, preceduto dall’ottimo esordio del 2008, intitolato “Vengeance”, e dal più controverso e discutibile secondo lavoro, “Of Love and Death”, pubblicato nel 2011. Come nella maggior parte dei casi, un progetto solista è contraddistinto dalla possibilità di espressione quasi illimitata del suo creatore da una parte, e il rischio di sembrare troppo monotematico e monocromatico dall’altra; viene lasciato così poco spazio a coloro che non entrano in sintonia con la personalità e l’opera proposta dal suo unico creatore, per un motivo o per un altro. Ha però il vantaggio di esprimere un concetto molto più personale, libero e intimo rispetto a un collettivo musicale. Diciamo che in casi come i Crom vale molto il principio di badare più alla sostanza, perché per motivi fisiologici c’è poca forma, e pochi altri elementi che di solito caratterizzano un tipico gruppo musicale. Fatta questa premessa, ci immergiamo nella sostanza di questo”When Northmen Die“. Sin dall’inizio, lo stile scelto dal nostro Walter per i suoi Crom è un Viking Metal, ma, a differenza dei suoi colleghi più blasonati, troviamo sonorità più morbide e più intime, con l’uso esclusivo della voce pulita e con molti inserti acustici che spesso sfoggiano in suoni quasi più rock che metal. Tra le cose più riuscite in questo platter ci sono le atmosfere e il pathos che si viene a creare sempre di più tra l’ascoltatore e la musica, la quale coinvolge con le sue atmosfere, trascina sulle onde della malinconia e fa immergere nelle sue visioni oniriche e vagheggianti.
Dal punto di vista musicale, quest’album può essere considerato concettuale; risulta difficile, infatti, analizzarlo un brano alla volta perché, come accennavo sopra, è un viaggio unico, e questo lo si evince sempre di più ascolto dopo ascolto. Probabilmente è la prima volta che mi capita di interrompere l’ascolto una volta giunto al quarto o al quinto pezzo, per poi riprenderlo in un secondo momento e avere una netta sensazione di abbandonare e poi ricominciare un viaggio musicale già iniziato in precedenza. E questo non capita spesso, nemmeno con i vari concept album dichiaratamente tali. È probabile che un simile effetto nasca dalla capacità dei Crom di dare una continuità più emotiva e sentimentale rispetto a quella solo musicale e melodica, come fosse una grande storia che racconta, attraverso i vari capitoli, personaggi e situazioni diversi tra loro, ma uniti dallo stesso destino o dallo stesso denominatore comune. Nel nostro caso tale denominatore comune potrebbe essere una piacevole malinconia, oppure una vera storia d’amore, che spesso attraversa fasi quasi opposte tra loro: gioia e dolore, ansia e tranquillità, felicità e angoscia. Questo ci porta verso un paradosso, un dualismo, e infatti troviamo molti contrasti musicali e di atmosfere in questo “When Northem Die”. Per fare qualche esempio possiamo citare il brano d’apertura, ‘Behold the Lights‘, un pezzo vigoroso e d’impatto, seguito da ‘All Alone‘, un brano più intimo e pacato dove cambiano le sonorità, ma non il mood che accomuna queste due track del disco. L’album è ricco di esempi come questo, in cui viene mutato l’approccio, ma non la storia narrata. Un altro lo troviamo sul finire del platter, con la trionfante ‘Sentenced to Death‘, seguita dall’onirica ‘Rain‘. Si nota anche una ricerca maggiore e più ispirata nei testi proposti. Vengono abbandonati i discutibili ritornelli, spesso banali, presenti sopratutto nel disco precedente. Nulla da recriminare anche dal punto di vista tecnico e della produzione, non è certo una proposta ricca di virtuosismi strumentali, ma di sicuro, e a ragion veduta, non è questo l’obbiettivo del disco. Gli assoli e i passaggi strumentali sono comunque eseguiti più che egregiamente. Ritengo inoltre doveroso citare alcuni esempi di assoluto valore artistico raggiunto con brani come ‘Betrayal‘ e ‘One Step to the Lake Below‘, nonché la traccia che dà il titolo all’album: ‘When Northmen Die‘. Canzoni che strizzano l’occhio ai mostri sacri di questo genere, come i Bathory.
Ci troviamo di fronte a un’opera che probabilmente darà il meglio di sé a lungo termine. Ascolto dopo ascolto, possiamo cogliere le sfumature, apprezzare i cori, immergerci nelle atmosfere ricche di tematiche tanto care al genere Viking, come il legame tra l’uomo e la natura, le guerre, la morte, le calamità, il dolore di una perdita e la gioia di un amore, sia fraterno che quello tra un padre e figlio, o tra due amanti. Dal punto di vista puramente musicale abbiamo una proposta ricca di melodie, arpeggi, strumenti acustici e tanta coralità. In più di un’ora di minutaggio trovano spazio anche le sonorità un po’ più spinte e aggressive, ma comunque molto melodiche e ormai tipiche del nostro caro Walter Grosse, nome d’arte: semplicemente, Crom.
Consiglio l’ascolto di questo album a chi è alla ricerca del sentimento romantico, a chi trae piacere dalle atmosfere con vaghe arie malinconiche e ricche di spiritualità arcana, a chi ha la pazienza di riascoltare più e più volte lo stesso album per cogliere le varie sfumature e trovare nuove ispirazioni. Oggigiorno è sempre più raro trovare lavori che puntano più all’anima che alla mente dell’ascoltatore. Fare leva sui sentimenti, ai giorni nostri, è puro romanticismo, ed è fuori moda. Ma credo che i seguaci della moda, soprattutto in musica, non saranno interessati a questo genere, né alla lettura di queste righe per ben altri motivi. Per tutti noi invece: buon ascolto.
Vladimir Sajin