Recensione: Where Distant Spirits Remain
I Falloch nascono in Scozia (il nome scelto deriva dalle cascate di Falloch, situate nel villaggio di Crianlarich) nel 2010, da un progetto di Andy Marshall e Scott McLean. I due decidono di spendere, sin da subito, tutte le proprie energie sulla composizione del primo full-length, denominato “Where Distant Spirits Remain”.
Se dovessi descrivere con una manciata di parole “Where Distant Spirits Remain” non avrei dubbi nel definire questo disco un lavoro meravigliosamente imperfetto. Se questo accostamento di aggettivi potesse sembrare stridente a qualcuno non potrei biasimarlo, però ci sono alcuni “ma” da considerare. La prima opera firmata dai Falloch è infatti un lavoro molto particolare, che se da un lato mostra diverse ingenuità e qualche punto d’ombra, dall’altro gode di un fascino tutto particolare.
Volendo affrontare un discorso di “genere”, questo album ricorda, a grandi linee, il lavoro di band quali Fen, gli ultimi Drudkh, Alcest e Agalloch. Musicalmente siamo dunque al cospetto di un cd che fonde metal estremo -invero poco- ed elementi più sognanti e delicati, di estrazione post-rock, il tutto condito da qualche accenno folk.
All’ascolto, si nota fin da subito che “Where Distant Spirits Remain” può vantare diverse caratteristiche che lo rendono un prodotto meritevole di attenzione, la prima delle quali è la semplicità delle sette tracce ivi contenute, che, pur essendo strutturalmente semplici, dirette e facilmente assimilabili, non scadono mai nella banalità. Il lavoro presenta spunti sufficientemente originali e il songwriting è generalmente fresco e ispirato.
Un’altra peculiarità, forse la più importante, è rappresentata dalle atmosfere. Se qualcuno dovesse maliziosamente pensare che il duo ricorra a passaggi facilmente malinconici e patetici, lo diciamo a scanso di equivoci, cadrebbe ampiamente in errore. I Falloch trasmettono passione e sentimento, dolore e mestizia veri, palpabili.
Le canzoni si attestano quasi tutte su un minutaggio piuttosto alto. I ragazzi sfruttano la lunghezza dei pezzi per poter cambiare continuamente rotta: ecco che quindi le song alternano continuamente momenti delicati, quasi impalpabili ad altri più tirati. Proprio questi ultimi evidenziano il background estremo di Andy e Scott.
Esplicativa circa quanto appena detto è la seconda, splendida track intitolata “Beyond Embers and the Earth”, senza ombra di dubbio il brano più completo dell’intera opera. Si parte subito in quinta: la batteria tesse un tappeto di doppia cassa, scandendo il tempo sul quale si adagia la sei corde; tempo pochi secondi ed entrano in scena anche tastiere e basso, il tutto a sostegno della voce di Andy, capace di passare con discreta disinvoltura dal pulito allo scream. Non mancano neanche i passaggi più sognanti e acustici, che smorzano la tensione.
Nella stessa direzione si muove anche “Where We Believe”, che però tradisce anche qualche lieve influenza derivata da gruppi come The Cure e Joy Division. La canzone al solito si snoda tra aperture melodiose e di ampio respiro e parti estreme in cui il duo picchia duro.
Toccanti e ben riusciti sono anche gli episodi strumentali che rispondo ai nomi di “Horizons” e “Solace”. La prima evidenzia a fondo l’importanza delle musiche folkloristiche all’interno della proposta dei Falloch; la seconda è invece un commiato dai toni tanto dimessi quanto delicati.
Nulla da eccepire per quanto concerne la produzione. La Candlelight Records fornisce ai Nostri tutti gli strumenti necessari per poter raggiungere la perfezione a livello sonoro. I suoni sono ricchi e corposi, puliti ma mai posticci. Buoni anche i volumi, ben bilanciati e regolati.
Niente da dire anche sulla preparazione tecnica
Se fin qui può sembrare tutto perfetto, è doveroso evidenziare anche i punti d’ombra presenti nel full-length. Il maggiore “difetto” attribuibile all’opera è senza dubbio riscontrabile nella voce pulita. Nonostante si evinca l’impegno profuso da parte del cantante scozzese, l’esecuzione pare ancora piuttosto incerta e imperfetta; per di più il timbro vocale non colpisce per potenza e intensità.
Alcuni passaggi non convincono ancora al 100%: si possono incontrare momenti di stasi o di eccessivo debito nei confronti dei grandi del genere.
Cos’altro dire? Ben poco. I Falloch confezionano un primo album ambizioso e davvero interessante che riuscirà a mettere d’accordo diverse tipologie di ascoltatori.
Il cd, pur essendo meritevole di attenzione, mostra però gli ampi margini di miglioramento del duo. Sperando che i nostri con il tempo riescano a smussare gli angoli, non ci rimane che raccomandarvi comunque l’ascolto di questo bellissimo e imperfetto “Where Distant Spirits Remain”.
Emanuele Calderone
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01- We Are Gathering Dust
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07- Solace