Recensione: Where Gods Fear To Speak

Di Paolo Fagioli D'Antona - 14 Settembre 2024 - 10:00
Where Gods Fear To Speak
79

Uno stimolante nuovo inizio, ma allo stesso tempo un ritorno alle origini per i texani Oceans Of Slumber che con questo nuovo platter Where Gods Fear To Speak (uscito a due anni dal transitorio Starlight And Ash), tornano a quelle sonorità più heavy che hanno contraddistinto la band sin dal successo di Winter del 2016, disco che vide la band statunitense per la prima volta riscuotere una meritata approvazione sia tra la critica che il pubblico.

Con questo nuovo platter infatti la band capitanata da Cammie Beverly e Charles “Dobber” Beverly tornano a quel loro mix di progressive, death e doom per cui i nostri si sono fatti conoscere ed amare, introducendo allo stesso tempo dei nuovi elementi al sound e facendo uscire l’album per la prima volta sotto l’ala protettrice di Seasons Of Mist dopo aver pubblicato svariati album con Century Media. Un nuovo inizio quindi, che vede per la prima volta la stessa Cammie nel ruolo anche di “harsh vocalist”, stupendoci sin dal primo ascolto con il suo growl gutturale e dalle tonalità davvero basse che non ha nulla dai invidiare ai suoi colleghi maschi che l’hanno preceduta in quel ruolo. Ma non si può negare che il punto di forza della stessa vocalist risiede nella voce in pulito. Una voce intensa, emozionale, potente e da una timbrica dal forte stampo soul e blues, una caratteristica che la rende per quanto ci riguarda una delle frontwoman più particolari, eclettiche, riconoscibili e allo stesso tempo talentuose del panorama metal moderno.

A detta della band, Where Gods Feat To Speak vuole essere una colonna sonora di un film che non è ancora stato scritto, un viaggio fatto di determinazione e coraggio, con la voglia di sconfiggere e scavalcare tutti gli ostacoli posti di fronte al six-piece texano. I testi sono estremamente intensi e personali, pregni di metafore e simbolismi e si addentrano nella psicologia della vocalist statunitense, raccontando di lotte personali ed importanti insegnamenti tratti dalla vita. Certamente la descrizione di “colonna sonora ad un film non ancora scritto” si addice moltissimo al sound degli Oceans Of Slumber, e benché questo disco lo troviamo meno cinematico ed atmosferico del disco omonimo del 2020, con un sound un tantino più asciutto, è innegabile quanto l’atmosfera creata principalmente da tastiere, pianoforte e synth sia un ingrediente centrale nella musica di questa band che continua a vivere di quei saliscendi di emozioni e di quei contrasti tra sezioni in blast-beat tiratissime, parti in growl devastanti e soavi passaggi vocali intrisi di bellezza e melodia che rende la musica degli Oceans Of Slumber sempre stimolante e mai ripetitiva.

L’album, al contrario di dischi come The Banished Heart e soprattutto Oceans Of Slumber, questa volta non presenta interludi, ma offre nove brani di media/lunga durata. C’è anche una cover, quella di Wicked Game di Chris Icaak, che molti millennials sicuramente assoceranno alla versione degli H.I.M. degli anni duemila più che al pezzo originale vero e proprio. In ogni caso, la scelta della cover sembra ormai una costante in ogni disco della band di Houston se si pensa alle varie Wolf Moon, House of The Rising Sun, ma soprattutto Nights In White Satin che rimane ad oggi uno dei “loro” pezzi più ascoltati su Spotify.

Il disco si apre con la title-track che offre molti degli ingredienti che abbiamo imparato ad amare da parte di questa band; c’è infatti un andamento cupo e misterioso nell’incipit della traccia e dei riff dal sapore doom che creano un suono apocalittico, su cui Cammie si destreggia con la sua voce pulita, prima che il pezzo acceleri improvvisamente con tanto di doppia cassa e che le parti in growl della stessa vocalist vengano fuori in tutta la loro crudezza. Il pezzo ci offre anche una di quelle classiche sezioni in blast-beat con la voce in pulito di Cammie che ci troneggia sopra, per quanto ci riguarda, uno dei marchi di fabbrica di questa band. Uno dei momenti musicali che abbiamo apprezzato di più in questa traccia viene sicuramente nel finale con quel “your grace is sufficient, made perfect in my weakness” sussurrato quasi in maniera ossessiva sia da Cammie che da Dobber, per un crescendo sempre più intenso che esplode sul finale. Interessantissimo l’uso dei synth in questa sezione, dove per la prima volta notiamo delle sfumature quasi folk ricreate proprio da essi, donando una sorta di “vibe psichedelico” abbastanza inusuale per un pezzo degli Oceans Of Slumber.

A livello del testi, questa title-track non si nasconde di certo, per un contenuto dai connotati anti-religiosi che a detta della stessa Cammie si riferiscono a come, sempre secondo lei, specialmente la parte più meridionale degli Stati Uniti sia ancora molto conservatrice da quel punto di vista e di come la religione ha avuto un impatto negativo su quello che è stato il suo percorso da musicista, instaurando pregiudizi e preconcetti, non solo per quanto riguarda l’arte e la musica, ma anche la società in generale. Un testo che si riallaccia bene ai temi trattati in questo album che come già menzionato parlano soprattutto di lotte interiori, ma anche di battaglie contro i pregiudizi imposti spesso dalla società e dalla religione. Ed è proprio combattendo tutto ciò che la band vuole dare voce alla propria opinione per creare il proprio percorso. Emblematica è la frase “In cowardice, true divinity takes flight, ripping righteousness from our tongues” e ancora, “defying the gods, we will find our own light”.

Segue la rocciosa Run From The Light che vede Fernando Ribeiro dei Moonspell come special guest, per un pezzo che suona gotico ed enigmatico, ma a tratti anche furioso e dove i due vocalist si alternano in maniera davvero convincente e in cui il buon Ribeiro sfoggia sia il suo scream che la sua voce pulita. Molto bello il botta e risposta tra i due vocalist in quel “BURN TO ASHES- BURN TO ASHES- FALL DOWN!” che davvero valorizza le due voci che allo stesso tempo si armonizzano a vicenda in maniera splendida nelle parti più melodiche e dal sapore gotico. Certamente uno dei nostri pezzi preferiti del platter, che da sfoggio anche ad un assolo di chitarra niente male.

La successiva Don’t Come Back From Hell Empty Handed è una sorta di mini-suite di otto minuti in pieno stile Oceans Of Slumber, dove già il titolo dice tutto. Questo pezzo parla di come da ogni esperienza difficile e negativa della vita, si debba per forza di cose imparare qualcosa di nuovo- “but with every battle waged and every tear that I’ve shed, a hard lesson was learned, another story that couldn’t go unread”- un brano in cui la lotta interiore e con il mondo esterno diventano il topic centrale del pezzo, così come la voglia e la determinazione di combattere per trovare quella luce in fondo al tunnel… il tutto racchiuso in un connotato di speranza finale- “The fires may sear, the journey might scar, but the spirit unbroken, can travel so far”.

Musicalmente il pezzo è un viaggio assolutamente emozionante dove i synth ricreano un’atmosfera malinconica su cui Cammie incanta nuovamente con la sua voce. Ci sono sezioni in blast-beat intense, ed altre dove è il pianoforte a guidare la melodia eseguendo un lavoro davvero encomiabile. Verso la fine del brano, dei riff marcatamente heavy donano robustezza al pezzo, chiudendo il tutto con una sezione piuttosto lunga in cui Cammie fa sfoggio di alcuni suoi vocalizzi che si trascinano in maniera forse un pochino ripetitiva verso la fine del brano prima che il growl subentri ancora una volta. A nostro avviso un bellissimo pezzo come questo avrebbe giovato da un finale migliore.

La successiva Wish è il brano più corto e probabilmente più diretto del lotto non contando la cover di Wicked Game. Un buon pezzo che sicuramente non è tra i brani meglio riusciti ma che ancora una volta risulta piacevole per via della sentita prestazione vocale di Cammie che in questo brano tocca tonalità sia molto alte che piuttosto basse, dando sfoggio di tutta la sua ecletticità come vocalist.

Poem Of Ecstasy riporta quel saliscendi emozionale caratteristico di questa band, con sezioni toccanti e malinconiche, accostate ad altre sorrette da un growl davvero plumbeo e abrasivo, brevi sezioni con frasi ripetute in maniera quasi forsennata, ed un assolo esplosivo; è così che improvvisamente la malinconia si trasforma in rabbia, quasi come se stessimo scendendo dal purgatorio agli abissi dell’inferno. D’altronde il fascino di questa band è proprio questo e Poem Of Ecstasy rappresenta senz’altro uno dei migliori episodi del platter, anche grazie a quelle meravigliose atmosfere tormentate e gotiche che traspaiono sul finale.

The Given Dream è un altro brano splendido, dove il vibe rimane sempre piuttosto calmo regalandoci probabilmente quello che risulta essere l’episodio melodico e d’atmosfera più riuscito del platter. Il pezzo ha un che di cinematico e allo stesso tempo estremamente vulnerabile, dove le tastiere, il rintocco di una campana in sottofondo, delle sezioni elettroniche minimali e quegli stacchi in pieno stile gotico non possono che lasciarci di stucco. Dal punto di vista tematico questo è un brano dai forti connotati spirituali e sovrannaturali, dove il protagonista sembra porsi nei panni di un’entità divina ricollegandosi perfettamente anche al titolo del disco che viene anche citato in un passaggio del testo “who knows the secrets of the deep? the many places where gods fear to speak”. Qui però si parla di desideri e sogni infranti mettendosi nei panni di un’entità divina che vaga per il mondo alla ricerca di essi , ritrovandosi però alla fine del viaggio a mani vuote- “the stone with all your hopes… you stare and you stare, it’s still empty” e ancora “the given dream was lost right there”.

I Will Break The Pride Of Your Will nonostante la fantastica prova vocale di Cammie rimane forse il brano più debole del platter, mentre molto più interessante è Prayer che vede Mikael Stanne dei Dark Tranquillity nel ruolo di secondo special guest di questo disco: Mikael fa sfoggio della sua iconica voce in clean oltre che del suo altrettanto iconico growl, per un pezzo in cui il frontman svedese risulta essere davvero la ciliegina sulla torta di un altro brano veramente ben riuscito, atmosferico, pregno di pathos, con delle bellissime sezioni acustiche ed altre assolutamente veloci e dirompenti. Meravigliosamente emozionante la sezione sul finale in cui Cammie e Stanne cantano all’unisono entrambi con la loro timbrica pulita, mentre gli ultimi secondi del pezzo ci offrono una delle sezioni più tipicamente gotiche e funeree mai sentite in un album degli Oceans Of Slumber, un misto tra i Type O Negative e gli Evanescence di Fallen, con dei cori assolutamente spettrali in sottofondo che coadiuvati alla voce dei due vocalist, creano quasi un’esperienza ultraterrena. Da brividi!

The Impermanence Of fate si apre con dei synth criptici ed enigmatici per un pezzo che concettualmente torna ad affrontare quei temi legati alla forza d’animo e del proprio volere, per un inno al non arrendersi mai in quanto il nostro destino non è inciso su pietra, non dipende da quale contesto e in quale posizione siamo nati, ma al contrario, siamo noi stessi a forgiare il nostro cammino (da qui il titolo del brano) – “gone are the days when expectation leads us, when blood determines our path, who we are, what we want, where we’re going” e ancora, “I’ll never give in, I’m trying, I’m trying”. Musicalmente The Impermanence Of Fate ha dei vocalizzi incredibili da parte di Cammie (raramente l’abbiamo sentita arrivare su tonalità così alte), delle parti di pianoforte memorabili, dei riff cadenzati dal sound estremamente doom, accostati ad una sezione assolutamente brutale ed “in your face”, con growl e blast-beat incessanti. Molto bella anche la sezione in “spoken word” verso il finale, che ha un sapore molto anthemico e che ci conduce per mano verso i titoli di coda del brano, prima che la cover di Wicked Game chiuda definitivamente questo platter.

In conclusione questo nuovo disco degli Oceans Of Slumber offre un’altra prova di livello da parte della band di Cammie Bevery e compagni, per un disco che torna ad essere heavy, atmosferico, cinematico e allo stesso tempo dotato di tanti saliscendi emozionali, per una band che sa davvero far leva sui sentimenti ma che allo stesso tempo sa anche essere estremamente brutale ed abrasiva. Nonostante questo, continuiamo a reputare l’omonimo disco del 2020 Oceans Of Slumber ancora come il picco compositivo di questa band, dotata di un’enorme talento e potenziale, ma che per quanto ci riguarda deve ancora fare quel “salto” per arrivare a comporre il capolavoro che tutti ci aspettiamo da loro. Detto questo Where Gods Fear To Speak è davvero un ottimo album, intenso e sentito anche dal punto di vista dei testi e dove traspare tutta la passione e la dedizione che la band Texana ha messo in un lavoro che continueremo ad ascoltare per molto tempo.

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