Recensione: Where Ironcrosses Grow
Nuove leve: tirate fuori blocchetti e penne, prestate attenzione e cominciate
a prendere appunti. La lezione sarà breve (poco più di mezz’ora) ma intensa e
soprattutto salutare, quindi mettetevi a sedere dietro i banchi che adesso quei
vecchietti dei Dismember v’insegnano come si suona il buon vecchio death metal
svedese!
In mezzo a tante parole, tante tendenze e soprattutto tanti dischi inutili
ecco finalmente un album death metal “old school” come si deve, senza
tanti fronzoli nè compromessi, ma in compenso pieno zeppo di aggressività,
energia e brutalità.
I Dismember mancavano dalla scena da qualche anno, ossia dai tempi del
precedente lavoro “Hate Campaign”, ma in realtà era ormai da molto
più tempo che i nostri avevano perso (sembrava irrimediabilmente) quello smalto
che li aveva resi tanto famosi nell’ambito del panorama death metal europeo e
che, insieme agli Entombed, aveva fatto guadagnare loro la meritata fama di
precursori del “Sweden Sound”.
Ma intanto chi sono I Dismember dei giorni nostri? Beh, dal punto di vista
della line-up poco è cambiato, dato che la spina dorsale della band è rimasta
intatta. Matti Karki alla voce, il mitico David Blomquist alla chitarra e Fred
Estby alla batteria rappresentano la continuità, dato che i 3 sono ormai legati
musicalmente fin dai tempi del devastante esordio nel 1991 “Like An Ever
Flowing Stream”. Rientra inoltre in formazione il bassista Richard Cabeza,
assente sul penultimo lavoro “Hate Campaign”. Inoltre, anche se non ha
contribuito alla produzione di “Where Ironcrosses Grow”, è entrato
stabilmente nella band anche il secondo chitarrista Martin Persson.
E musicalmente? Beh, qui c’è ben poco da dire: posso annunciare
ufficialmente che i Dismember sono tornati a livelli decisamente esaltanti, e
non esito a posizionare il loro ultimo lavoro alle spalle soltanto
dell’irraggiungibile album d’esordio citato poc’anzi. Chiunque come me avesse
avuto il piacere di vederli l’estate scorsa al Wacken 2003, avrebbe capito che
qualcosa di speciale bolliva in pentola, ma mai mi sarei aspettato tanta grazia!
Il sound è quello dei bei tempi: granitico, cupo, aggressivo e decisamente
rognoso, con in grande spolvero il sound simil-sega elettrica della chitarra di
Blomqvist. L’asso nella manica dei Dismember è il loro saper alternare con
raziocinio e maestrìa ritmi tiratissimi a mid-tempos assolutamente devastanti,
con l’inserimento spesso e volentieri di stacchi melodici di Blomqvist, che nel
tempo hanno rappresentato l’impronta distintiva dei Dismember (vedere
“Forged with Hate” e “Tragedy of the Faithful”). La sezione
ritmica assomiglia ad un Panzer tedesco in piena corsa verso il fronte
sovietico, con il buon Fred Estby nel ruolo di protagonista assoluto dietro le
pelli. Intendiamoci, la tecnica non è mai stata l’arma in più dei Dismember,
come chiunque abbia potuti vederli dal vivo avrà constatato, ma la coesione di
questi quattro svedesi è pareggiata da pochissime altre bands, e questo pone i
Dismember in una categoria privilegiata.
Adesso le pecche. A me personalmente non è piaciuta granchè la produzione,
che risulta buona ma troppo bassa e “chiusa”: avrei gradito un sound
più improntato sulle chitarre, forse un pò più pulito. Secondo poi, va
sottolineato il fatto che “Where Ironcrosses Grow” non è certo un
lavoro che brilla per l’originalità, anzi! Questo lavoro è un solidissimo
prodotto di death metal “old school”, della scuola svedese fine anni
’80 nel caso specifico, che sarà graditissimo a tutti coloro che seguono e sono
affezionati al movimento da più di un decennio come il sottoscritto, ma temo
che le nuove leve potrebbero trovare “Where Ironcrosses Grow” un pò
datato e non il massimo dell’inventiva. Detto ciò, “Where Ironcrosses
Grow” difficilmente non farà bangare la testa a vecchi e giovani per tutti
i suoi 38 minuti e 7 secondi.
Bentornati Dismember, mai ritorno fu più gradito…