Recensione: Where the river ends
Questa estate è stato pubblicato da Andromeda Relix (e con distribuzione mondiale per Black Widow Records) Where The River Ends, disco di sano hard rock che accontenterà fan di band come Uriah Heep, Lynyrd Skynyrd e Reo Speedwagon.
Parliamo del nuovo disco di JC Cinel, il quarto da solista e l’ottavo in carriera (tre con i Wicked Minds e uno insieme alla Jimi Barbiani Band). Il disco racchiude il frutto di sette anni di lavoro da parte del mastermind italiano, che in passato si era trasferito per qualche tempo in quel di Nashville, patria del country. Lo accompagnano questa volta Davide Dabusti, Andrea Toninelli, Daniele Tosca, Marcello Baio, Marco Lazzarini (Secret Sphere) e Paolo “Apollo” Negri (Wicked Minds, Link Quartet), oltre ad altri ospiti.
Tutto si presenta bene, artwork incluso. Non resta dunque che premere play e trovare riscontro alle buone impressioni iniziali.
Il binomio “City Light – Oblivion” è un ottimo biglietto da visita. Il sound old-school, con hammond e chitarre col giusto mordente, si sposa bene alla voce melodica di JC Cinel e il risultato convince al primo ascolto. Gradite anche le contaminazioni blues e più in generale il senso di sprezzatura che rende il tutto musica davvero godibile.
“Feel like prisoners” ha un ritornello orecchiabile e scorre in estrema naturalezza, con linee di basso corpose, gli acuti di JC e un ottimo assolo di Andrea Toninelli, che nel finale si scatena.
In quarta posizione troviamo l’atmosferica “Mindmaze. Red-handed”, un tuffo nel southern rock più assolato e riarso. Probabilmente uno dei momenti migliori di Where The River Ends.
Un’armonica apre la seguente “Asylum 22”, altro pezzo azzeccato, con inserti di chitarra acustica. “Burning flame”, invece, è una traccia con elementi progressive e concessioni a sonorità orientaleggianti nel lungo intro in crescendo. Del resto parliamo del brano più lungo in scaletta, otto minuti lisergici e cullanti scanditi da un main-theme facile da memorizzare.
Siamo al giro di boa. Fin qui niente da dire, ascolto piacevole e rinfrancante. Vediamo se sarà così anche nella seconda parte di Where The River Ends.
“How far we shine” è una ballad passabile, con sonorità nuovamente southern.
Dopo l’intermezzo di chitarra acustica “Karakal (lost in Shangri La)”, “Strangers” risulta un brano che manca di mordente nella prima parte, salvo poi risorgere nel finale grazie a un sintetizzatore provvidenziale e l’assolo di chitarra elettrica.
Più catchy “Thank God I Was Alone”, con JC Cinel che si avvicina all’Elvis della situazione. Ricompare l’armonica e le chitarre sono spigolose al punto giusto. Valore aggiunto le linee di basso coraggiose e ritmate come Dio comanda.
Il disco si chiude con due brani niente male. “Which side are you on” è puro rock scanzonato che occhieggia ai fastosi anni Settanta. La title-track, da ultimo, è il giusto commiato a un disco che complessivamente ha regalato un’ora di spensieratezza ed energia. L’assolo floydiano al settimo minuto è l’epitome di quanto di buono è riuscito a realizzare JC Cinel con questa nuova line up e una sana devozione al rock.
È promosso, quindi, da ogni punto di vista Where The River Ends. Il disco suona più incisivo rispetto ai precedenti lavori del cantante piacentino ed è concepito per essere più vicino alla dimensione live. Auguriamo a JC Cinel di riscuotere il giusto successo sul palco e continuare il suo viaggio artistico ancora a lungo.